mercoledì, maggio 26, 2010

La filastrocca dell'aglio


In prima elementare, per insegnare l'uso di "gli", le maestre di mio figlio insegnavano questa curiosa filastrocca:
«sul tagliere l'aglio taglia
non tagliare la tovaglia
la tovaglia non è aglio
se la tagli fai uno sbaglio»
~

giovedì, maggio 20, 2010

Perchè la sinistra è destinata a perdere ancora a lungo

Sono rimasto colpito da questa lettera scritta da un lettore a Umberto Galimberti nell'inserto Donna di Repubblica.
La lettera racconta con semplice efficacia come sia possibile che proprio i ceti più deboli si siano allontanati da chi storicamente (e con alterne fortune) ha difeso i loro diritti per schierarsi con chi li guida nella guerra tra poveri.

«So che la sua rubrica, a rigor di termini, non è un luogo adibito a discutere di politica. Vogliamo fare, una tantum, un'eccezione e ascoltare un operaio come me che, in giro per cantieri, è giornalmente accanto alla gente comune, più di qualsiasi intellettuale.
Ebbene: chiunque si azzardi a manifestare solidarietà per i migranti è destinato ad essere schiacciato (elettoralmente). Questo vale anche per Casini e Fini, figuriamoci per Bersani. Mi chiedo dove vivano i miei intellettuali di riferimento!
Da almeno dieci anni vado ripetendo la stessa litania: una volta c'era il fattore K (vi ricordate di Ronchey?), oggi c'è il fattore S (stranieri) che impedisce alla sinistra di vincere. E siccome il flusso migratorio è un fenomeno epocale che durerà ancora chissà per quanti decenni, non vedrò mai più, in Italia, salire al governo la cosiddetta sinistra. È finita.
La stragrande maggioranza delle persone che frequento io, il mondo dell'edilizia, fatta di stranieri e di meridionali, è informata, politicamente, esclusivamente dalle televisioni di quel "signore". C'è margine di dialogo? È democrazia?
Io mi imbatto in colleghi che mi dicono che in Italia abbiamo avuto 50 anni di comunismo! C'è gente che non sa cosa sia il 25 Aprile. Ci sono margini di dialogo?
Un mio amico del sindacato ha espresso, in una frase, tutto il mio pensiero: sino a quando gli italiani ci percepiscono (noi di sinistra) come quelli che vogliono difendere gli stupratori rumeni, non abbiamo scampo.
A Rosarno si è gridato viva Bossi, si è data la colpa ai comunisti. Io ho paura, signor Galimberti. Ho paura di Feltri, di Castelli, di Calderoli... Ho paura per la mia incolumità. Se io, per disgrazia, andassi a Rosarno, e provassi a dire a qualcuno che quei lavoratori disperati che sono stati cacciati a furor di popolo sono esseri umani identici a me, sicuramente rischierei qualche coltellata in pancia.
Perché siamo arrivati a questo? Perché nella stragrande maggioranza degli italiani, nel loro profondo (anche in molti di quelli che votano a sinistra) si è installata la convinzione, ormai inestirpabile, che i "cumunisti" (non è un refuso) difendono gli stupratori rumeni?
Venti anni di informazione in mano ad una persona, come nei peggiori regimi esistenti al mondo, hanno fiaccato, devastato, la coscienza del popolo italiano. Io sono tra quelli che affermano che in Italia è avvenuto un genocidio culturale. Ma abbiamo paura a dirlo, perché i fascisti e i razzisti (nonché i mafiosi) ci accuserebbero di armare la mano dei vari Tartaglia! Siamo in trappola! 
Salvatore Siddi Santo Stino di Livenza (Venezia) siddhi@libero.it»
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mercoledì, maggio 05, 2010

Florin

Florin è rumeno. E' un bell'uomo, sulla quarantina, alto quasi un metro e novanta. Florin è parcquettista, piastrellista, muratore.
Dopo una giornata di lavoro inginocchiato sul un pavimento della mia nuova casa, appella il figlio dodicenne  «Ti piaccio?».

«...» il bambino esita, lo guarda dritto in volto ma non sa cosa dire.

«Dimmi, senza paura: ti piaccio?» insiste.

Beh, è sporco. I pantaloni chiazzati di colla ed i capelli pieni di segatura. Ha l'aria stanca e sofferente di chi soffre di schiena, o di ginocchia, ma deve rimaner chinato per guadagnarsi il pane.

Ha un figlio adolescente, che vive con la madre, in Romania. Qualche tempo fa, dopo anni di lavoro in Italia, ha capito che stava perdendo il figlio ... ed allora è tornato a casa, e cerca di lavorare in Romania almeno sei mesi l'anno. Ma l'inverno è duro e la temperatura scende a -17, troppo per chi costruisce case.

Il figlio evita un mio sguardo di riprovazione preventiva, esclama il suo no e si ferma ad aspettare.

«Allora studia! Studia, se non non vuoi diventare come me».
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Mi sento fortunato