giovedì, dicembre 31, 2009

Che fine ha fatto la fantascienza?



«Il futuro non è più quello di una volta.»
Arthur C. Clarke oppure Paul Valery

Ieri sono stato in una libreria e, dopo aver meditato per una buona mezz'oretta se fosse il caso ci acquistare un saggio (una boccata di realtà) un romanzo o una raccolta di poesie (cercavo qualcosa di Wislawa Szymborska ma non lo avevano), sono sbottato, per lo stupore della moglie, con un: «ma la fantascienza non c'è più?».
Cioè, non è che manchino le opere di fantasia, ma sembrano più fantasy oppure horror o, ancora, gialli-polizieschi ambientati in un futuro prossimo e claustrofobico.

Ha già, penso, "Spazio 1999" è passato. Pure "2001 Odissea nello spazio" con la sua continuazione "2010 l'anno del contatto" sono ricordi del passato.
Negli anni novanta son passati come frecce i cyberpunk con le storie del neuromane, di Jonny Mnemonic e la sua guardia del corpo potenziata con occhi e muscoli innestati e simpatiche unghie retrattili. La matrice, la rete, era diventata cosciente e ... e avrebbe potuto finire tutto come in Matrix.

Ma già non c'era ottimismo. Siamo troppi, troppo vicini, dobbiamo dividerci risorse sempre più scarse e vivere in città sempre più affollate ed impersonali. Non c'è fuga che non sia sintetica, sia essa chimica o elettronica.
Dov'è finito il sogno della frontiera, dei nuovi mondi da conquistare dei nuovi spazi da colonizzare?
La scienza, come l'evoluzione, non procede mai in linea retta e tutto ciò che che la fantascienza della prima metà del secolo aveva previsto, non è andato oltre il viaggio sulla Luna, nel 1969.

Le avventure narrate da Salgari? Sono possibili solo se vi sono ancora territori lontani, selvaggi e inesplorati.
La fisica dell'endecalogia di Asimov? Richiede come minimo che vi sia una fonte di energia sicura, illimitata e compatta adatta a far muovere illimitatamente robot umanoidi e astronavi spaziali che allargano costantemente il nostro spazio ed il nostro orizzonte conquistando nuovi pianeti e sistemi stellari.

Ed invece, eccoci bloccati in una ciotola piccola e sempre più sovraffollata. Gli umani aumentano costantemente e lo spazio non aumenta, le risorse non sono infinitamente riproducibili ed ad un certo punto saranno solo razionabili.

Mentre medito sono nudo, seduto su una sedia in bagno accanto al termosifone bollente, lo scaldino elettrico che lavora a pieno regime e l'acqua della doccia che corre, avvolgendomi in una piacevole nuvola di vapore. Mi scuoto e rabbrividisco allo spreco di energia e acqua che sto perpetrando ai danni dell'umanità.

Nel pieno del 1900 un pensiero simile non sarebbe mai arrivato perché vivevamo nella convinzione che l'energia e l'acqua erano solo temporaneamente limitate, in attesa di nuove tecnologie che sarebbero arrivate a breve, di nuove risorse che sarebbero state scoperte, di nuove infrastrutture che già erano in costruzione.

Ecco, non abbiamo modo di sapere come sarà il 2010, ma sicuramente sarà il momento in cui la coscienza degli umani interiorizzerà il fatto di vivere in un mondo finito (nel senso di non infinito), in grado di fornire solo una certa quantità di risorse naturali (cibo, foraggi, pesce, spazio, energia, acqua potabile) e che, per il momento, non ci sono nuovi spazi da conquistare e da sfruttare. Essendo la torta quella che è, possiamo solo cercare di dividerla al meglio e sprecarne il meno possibile.
E riscopriremo, forse, antichi modi per essere felici e nuovi modi per sognare il futuro, quello che nel decennio passato ci è mancato.

Buon decennio a tutti!
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mercoledì, dicembre 23, 2009

Buon Natale, foglie d'erba



Foglie d'erba
~ 31 ~
«Io credo che una foglia d'erba non valga meno dell'infinito moto delle stelle,
c'è la stessa perfezione nel granello di sabbia, nella formica, nell'uovo dello scricciolo,
la raganella è un capolavoro tra i più alti,
ed il rovo rampicante potrebbe ben adornare i salotti del cielo,
la più piccola giuntura della mia mano può disegnare qualunque meccanismo,
la vacca ruminante a capo chino è più bella di qualsiasi statua,
ed il topo è in se un miracolo bastevole a scuotere miriadi di increduli»
Walt Whitman

Fotografia gentilmente regalata da Paolo Ballarini con licenza Creative Commons Attribution Non-commercial Share Alike 
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domenica, dicembre 20, 2009

Nevica, Luciana racconta le città a modo suo


Insomma, nevica (pochino) da 4 giorni e Milano ed hinterland sono nel caos. Il traffico viaggia a velocità sublumaca, i mezzi pubblici ci sono e non ci sono (chissà come mai le FS sopprimono treni, quando il mezzo meno influenzato dalla neve dovrebbe essere proprio il treno) e le signore si lamentano che vialetti e marciapiedi non sono spazzati ad arte.
Siccome sapevo che le polemiche ci sarebbero state anche quest'anno come l'anno scorso e gli anni precedenti, ho tenuto da parte la trascrizione di questo brano della Lucianina nazionale fino ad oggi, sicuro di non sbagliare.

Luciana Littizzetto ad un Che Tempo che Fa di gennaio 2009.
E'nevicato, non so se vi siete accorti.

Non era qualcuno che scuoteva il pandoro dal balcone.

Peccato che siano partiti degli emboli che neanche fosse scesa dal cielo l'apocalisse. Tutti a gridare: Emergenza, emergenza. Emergenza una mazza.

E' gennaio? Nevica!

Dovremmo essere contenti. Vuol dire che la terra ha ancora qualcosa di normale.

Se l'8 gennaio ce ne stavamo tutti in piazza Castello in mutande con le ascelle sudate e le balle dentro al frigo allora sì che era emergenza.

A Gaza c'è l'emergenza. Non qua.

Invece è scoppiato un macello. Tutti a mettere in croce il povero Chiampa e la povera Moratti. Che anima santa. Aveva poco sale. Anche a me capita.

Tra l'altro aveva poco sale perché l'aveva prestato a Chiamparino.

Gliel'ha dato e poi a Milano sono rimasti senza. Quando si è accorta che nevicava forte si è messa persino a dissalare le acciughe che aveva preso a Spotorno ma non è bastato.

Lety, guarda: sei stata ben gentile, a darci il sale. Siamo in debito.
Quando hai bisogno di due uova per fare la maionese suona pure a me quando ti
pare..

Comunque è strano.

La neve nelle favole rende tutti più buoni, e invece eran tutti isterici, sembrava fossero scesi dal cielo trenta centimetri di cocaina.

Una lagna mai più finita.

«Eh ma facciam fatica a camminare.».

Certo che se ti metti i tacchi per far la figa, facile che vai lunga e tirata.
Mettiti dei bei scarponcini come le pastorelle di Fatima vedi che stai in piedi .. la figa la fai poi quando i giardini di marzo si vestono di nuovi colori, deficiente.

«Eh ma ci sono i marciapiedi pieni. E il Comune che fa?». E cosa fa? Fa passare gli spazzaneve. Ma nelle strade. Non è che li fa passare sui marciapiedi se no porta via anche i citofoni.

Uno gentilmente prende la pala, si leva la neve dal marciapiededi casa sua e non rompe i marroni al sindaco.

La pulizia del marciapiede spetta ai proprietari degli stabili.

Quindi spàlati la neve davanti al tuo portone e falla finita.

Se lo fanno tutti vedi poi com'è più facile camminare.

«Eh ma dovevano chiudere le scuole». Probabilmente sì. Però se non ce la fai a portare tuo figlio a scuola tienilo a casa.

E' un ragionamento difficilissimo?

Non credo. «Nevica. E con l'autobus c'ho messo mezz'ora di più».

Ed è colpa della Moratti? Cosa deve fare sta disgraziata? Correre a raccogliere i fiocchi con la lingua di fuori?

O magari con le chiappe, facendosi tirare per le caviglie, come si fa in spiaggia per fare la pista per le biglie ? Non è che è nevicato solo per te.

E' nevicato per tutti. Avran tutti dei casini. pazienza. Se arrivi in ritardo Brunetta stavolta chiuderà un occhio. «Dovevano mettere più autobus... ». Certo. Chiampa adesso compera 20 bus in più e li tiene in garage e li tira fuori solo quando nevica.

Per te.

C'è scritto nel bilancio comunale.Venti autobus in più per quella lì che si lamenta.

Ma tira fuori il tuo di SUV e sparisci.

Si chiama fuoristrada no? E allora per una volta usalo per quel che è, che sei sempre lì a intasare in doppia fila davanti alla scuola col tuo autoblindo.

Insomma. Quando nevica gli unici contenti sono i bambini e i cani.

I bambini che si tirano le palle di neve e i cani che fan la cacca sul pulito.

E poi, dopo qualche giorno, quando i bambini si tirano le palle di neve con dentro la cacca dei cani, la festa è belle che finita.

P.S. Secondo voi chi spala la neve a Milano?
Pensate che l'annuncio per la ricerca di spalatori alla radio lo danno in inglese, arabo, cinese, spagnolo ed infine italiano.
Quelli che mi fanno più impressione sono i neri, spesso vestiti con abiti troppo leggeri, imbacuccati in strati e strati di giacchette e felpe di colori diversi, calzano scarpe da ginnastica inadatte alla neve, abituati -immagino- a climi ben più caldi dei nostri. Sudano, gelano e ansimano per una paga che noi rifiuteremmo (ed in maggioranza rifiutiamo).
Ma se non ci fossero, chi la sente la sciuretta impellicciata che cammina malsicura su trampoli di marca?
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venerdì, dicembre 18, 2009

Calcolare il carico dell'asino

Siamo sotto Natale, dovremmo essere tutti più buoni e, per non farvi annegare nella melassa vi propongo un problemino cattivello.



Un asino ed un mulo, carichi di merci e guidati dai rispettivi padroni, si trovano a camminare affiancati sulla stessa via.
L'asino, per sottolineare il suo maggiore carico che trasporta, ricorda al mulo: «se prendessi 20Kg del tuo carico, porterei il doppio del tuo».
E il mulo, per minimizzare: «ma se io prendessi 20Kg del tuo carico, porteremmo lo stesso peso»

Quando pesano i carichi rispettivamente dell'asino e del mulo?

Soluzione
Vi dirò che questo problema è facilmente risolvibile utilizzando carta e penna ed applicando un po' di regole delle equazioni (le più semplici, in fondo sono due equazioni lineari con due incognite). Mentre risulta estremamente sfidante da risolvere a mente. Per ora nessuno di coloro cui ho proposto il gioco ha trovato la soluzione senza utilizzare carta e penna.

Come da tradizione, la soluzione è nascosta qui sotto, in bianco su bianco, ed è leggibile selezionando il testo.

L'affermazione dell'Asino, una volta espressa in formula diventa:
A+20=2*(M-20)
A=2M-40-20
A=2M-60

L'affermazione del Mulo:
M+20=A-20
A-M=40

Sostituendo A:
2M-60-M=40
M=40+60
M=100

Ovviamente:
A=140


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martedì, dicembre 15, 2009

Il nanetto delle patate


Patamucco

C'è un aneddoto (un nanetto, come lo chiamiamo in famiglia) che spiega come, per ottenere l'apprezzamento o la diffusione di qualcosa, possa essere conveniente proibirlo.

La patata, come molti cibi che associamo alla nostra tradizione culinaria -come pomodori, mais, peperoni-proviene in realtà dalle americhe ed stata importata in Europa alla fine del 1500.
Il fatto è che la patata è nutriente e particolarmente resistente alle intemperie, per cui avrebbe potuto costituire da subito una preziosa risorsa contro le carestie che hai tempi ancora si abbattevano ciclicamente sull'Europa.

Ed, in effetti, durante la terribile guerra dei trent'anni (1618-1648, in cui cattolici e protestanti e varie altre fazioni cristiane si scannarono con ogni mezzo arrivando a ridurre di un quinto la popolazione europea), la coltivazione ed il consumo della patata si diffusero ampiamente in Irlanda, Inghilterra, Olanda e Prussia.

Nello stesso periodo, in Francia, Maria Antonietta la pubblicizzava portandone addirittura i fiori sul corpetto, ma la diffidenza del popolo per il nuovo cibo ne frenò la diffusione.
E così rimase, finché Antoine Augustin Parmentier, farmacista ed agronomo riuscì a dimostrare, nel 1773, l’infondatezza dei pregiudizi ai luminari dell’Accademia di Medicina di Parigi e, per farla conoscere, fece piantare interi campi di patate nelle terre attorno a Parigi, ottenendo dal re che fossero sorvegliati dai soldati durante il giorno. La notte, gli abitanti della zona, incuriositi, rubavano i preziosi tuberi, assicurandone in tal modo la diffusione.
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sabato, dicembre 12, 2009

Influenza A, cioè l'ennesima bufala

«Alla fine dell'inverno la temuta influenza A potrebbe passare come la pandemia più lieve mai registrata: è questa l'ottimista previsione sull'andamento dell'influenza A/H1N1 avanzata da alcuni tra i maggiori esperti di malattie infettive e biostatistica degli Stati Uniti.»
Il Corriere della Sera 8 dicembre 2009
Oggi, nei bagni dell'ufficio mi sono fermato a guardare il distributore del disinfettante per le mani che è stato messo in tutti i bagni quando ha cominciato a montare la fobia dell'influenza suina. C'è scritto:
  • Tenere lontano dalla portata dei bambini
  • In caso di contatto con gli occhi, lavare abbondantemente con acqua e consultare il medico.
Su Internet trovo la scheda tecnica di un prodotto similare, che aggiunge:
  • La dispersione in grosse quantità nell'ambiente acquatico può provocare la morte di pesci ed altri organismi acquatici.
... e tutto questo per la pandemia (probabilmente) meno pericolosa mai registrata.
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giovedì, dicembre 10, 2009

Entant che polsest

Finalmente in Trentino,



è tempo di piccole scoperte.

A Riva del Garda c'è un bar (che si chiama Rivabar, viva l'originalità), dove sabato prendiamo un aperitivo. Il locale è nuovo  nuovo ed arredato in stile lounge. Il bancone, come il resto del locale, è coperto di legno scuro e disegna linee dritte e spigoli vivi che si spezzano in un inserto di vetro opalescente. L'inserto è luminoso e cambia lentamente colore scivolando dal verde al rosso, dal blu al giallo. La barista è una elegante ragazza dall'aria non giovanissima. Una lavagna alle sue spalle annuncia i vini della giornata. Schivando il Gewurtz Traminer e i tradizionali bianchi da aperitivo decido per l'unico rosso rimasto, il Ripasso di Valpolicella DOC di Tommasi, costa 4€ al calice, contro i 3€ degli altri. La moglie si ferma al classico pinot grigio ed i figli per un tè freddo alla pesca.
Il vino è di un bel colore rosso scuro con riflessi rubino. Lo rigiro nel bicchiere senza sapere cosa aspettarmi, perché si chiama "ripasso"? Con un colore così avrebbe potuto essere forte, aspro e tanninico. Ed invece trovo un sapore equilibrato, inaspettatamente morbido e vellutato, forse non profumatissimo ma nell'insieme sorprendentemente piacevole. Ne comprerò una bottiglia alla prima occasione.
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In cucina mio padre ha attaccato un ritaglio di una pubblicità risultato del possente marketing territoriale trentino. Al centro di un'immagine, che rappresenta una vallata dinnanzi alla Paganella, capeggia la scritta:

«Entant che polsest,
spaca en poc de legna»
Il risultato di una filosofia di vita

(traduco per i non trentinofoni: intanto che riposi, spacca un po' di legna)
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Ieri abbiamo mangiato una polenta pallida. La mamma racconta che in Friuli, quando era piccola lei, si mangiava la polenta di farina di mais bianco, mentre il mais rosso veniva dato ai maiali. Grazie al web, scopro che, piano pianino, dopo aver rischiato l'estinzione, il mais bianco perla ricomincia a diffondersi in questi anni grazie anche all'emerito sforzo di associazioni come Slow Food. E pensare che non sapevo neppure che esistesse.
~ Domenica ~
La Tamagotchi si è alzata allegra e offre sorrisi a tutti, e strilla e corre e si affanna a chiamare. Prende una cosa e la porta, poi cambia idea e non te la dà. Dice "tieni!" ma non molla e scappa via dondolando goffamente. Quando la prendo ride e sbuffa. La Principessa la prende in custodia e cerca di convincerla a giocare con i pupazzi.
Il Troll ha un po' di mal di testa. Pazienza, la moglie gli rifila una pastiglia di paracetamolo e lo spedisce a letto.
Oggi, a pranzo, la mamma ci presenta la ciuiga. La CIUIGA di San Lorenzo in Banale è un insaccato composto di carne di maiale e rapa sminuzzata. Buona, si cucina facendola bollire in acqua e poi insaporire nella padella assieme crauti. Si può servire con la polenta o con un buon pane robusto. A quanto pare funziona anche contro il mal di testa dato che il Troll se ne abbuffa con leggera allegria.
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martedì, dicembre 08, 2009

COPENAGHEN: Un'unica voce da 56 giornali

In occasione della conferenza che si apre in Danimarca, i quotidiani di 45 Paesi pubblicano questo editoriale comune e si appellano ai rappresentanti dei 192 stati presenti.

Logo

Oggi 56 giornali di 45 paesi stanno facendo un passo senza precedenti, quello di parlare con una unica voce in un editoriale comune. Lo facciamo perché l'umanità si trova ad affrontare una grave emergenza.

Se non ci uniamo per intraprendere delle azioni decisive, il cambiamento climatico devasterà il nostro pianeta e con esso la nostra prosperità e la nostra sicurezza. I pericoli sono diventati sempre più manifesti nel corso dell'ultima generazione. Ora hanno cominciato a parlare i fatti: 11 degli ultimi 14 anni sono stati i più caldi mai registrati, la calotta artica si sta sciogliendo e i surriscaldati prezzi del petrolio e dei generi alimentari sono solo un assaggio della distruzione che ci attende. Sulle pubblicazioni scientifiche la domanda non è più se la causa sia imputabile agli essere umani, ma quanto è breve il tempo che abbiamo ancora a disposizione per contenere i danni. Nonostante tutto ciò, fino a questo momento la risposta del mondo è stata tiepida e debole.

Il cambiamento climatico è stato prodotto nel corso di secoli, ha conseguenze che dureranno per sempre e le possibiità che abbiamo di controllarlo saranno determinate dai prossimi 14 giorni. Ci appelliamo ai rappresentanti del 192 paesi riuniti a Copenhagen affinché non esitino, non si lascino prendere la mano dalle controversie e non si accusino reciprocamente, ma che ricavino delle opportunità dal più grande fallimento della moderna politica. Si dovrebbe evitare una lotta tra il mondo ricco e quello povero o tra Occidente e Oriente. Il cambiamento climatico colpisce tutti e deve essere risolto da tutti.

L'aspetto scientifico è complesso ma i fatti sono chiari. Il mondo deve prendere delle misure per contenere entro 2°C gli incrementi della temperatura, un obiettivo che richiederà che il picco globale delle emissioni e l'inizio del loro successivo decremento avvenga entro i prossimi 5-10 anni. Un innalzamento superiore di circa 3-4°C - la stima più bassa dell'incremento della temperatura qualora non si agisca - inaridirà i continenti e trasformerà le terre agricole in deserti. La metà di tutte le specie potrebbe estinguersi, un numero senza precedenti di persone sarebbe costretto all'esodo, interi paesi sarebbero innondati dal mare.

Sono in pochi a ritenere che Copenhagen possa ancora produrre un trattato in una sua versione finale - verso un tale trattato si è potuto cominciare a fare reali progressi solo con l'arrivo del presidente Obama alla Casa Bianca e la fine di anni di ostruzionismo degli Stati Uniti. Il mondo si trova ancora oggi alla mercé della politica interna statunitense, dato che il presidente non può impegnarsi pienamente sulle azioni necessarie finché non lo avrà fatto il Congresso degli Stati Uniti.

A Copenhagen però i rappresentanti politici possono e devono trovare un consenso sugli elementi essenziali di un accordo giusto ed efficace nonché - e questo è un punto cruciale - su un rigido calendario per trasformare questo accordo in un trattato. La prossima conferenza delle Nazioni Unite sul clima prevista per il giugno prossimo a Bonn dovrebbe essere considerata la data ultima o, come ha detto un negoziatore, "possiamo concederci un tempo supplementare ma non di rigiocare la partita".

Al centro dell'accordo ci deve essere una intesa tra il mondo ricco e quello in via di sviluppo che preveda, tra le altre cose, come sarà distribuito il costo della lotta al cambiamento climatico - e come si distribuirà una risorsa che solo recentemente è diventata preziosa: le migliaia di miliardi circa di tonnellate di anidride carbonica che rilasceremo prima che la colonnina del mercurio abbia toccato livelli pericolosi.

Alle nazioni ricche piace ricordare la verità aritmetica secondo la quale non ci può essere una soluzione finché i giganti del mondo in via di sviluppo, quale la Cina, non adotteranno misure più radicali di quelle messe in atto finora. Il mondo ricco, però, è responsabile per la maggior parte dell'anidride carbonica che si è accumulata nell'atmosfera - tre quarti di tutta l'anidride carbonica rilasciata dal 1850. Il mondo ricco deve quindi ora indicare la strada e ogni singolo paese in via di sviluppo deve impegnarsi a ridurre le emissioni in modo tale da abbassare entro un decennio il proprio contributo di gas serra a livelli sostanzialmente inferiori a quelli del 1990.

I paesi in via di sviluppo vorranno ricordare che loro hanno contribuito alle cause del problema solo in misura minore e che le regioni più povere del mondo saranno quelle più colpite. Tuttavia, questi paesi contribuiranno sempre di più al riscaldamento e devono quindi impegnarsi in prima persona in una azione significativa e quantificabile. Sebbene finora sia l'azione dei paesi avanzati sia quella dei paesi in via sviluppo non abbia raggiunto il livello auspicato da taluni, il recente impegno su nuovi target per le emissioni da parte dei due paesi che più inquinano al mondo, Stati Uniti e Cina, sono dei passi importanti nella direzione giusta.

La giustizia sociale esige che il mondo industrializzato si dimostri generoso nel fornire risorse per aiutare i paesi più poveri a adattarsi al cambiamento climatico e a adottare tecnologie pulite che consentano loro di crescere economicamente senza che ciò comporti un aumento delle emissioni. Anche l'architettura di un futuro trattato dovrà essere stabilita in maniera ferma, prevedendo un monitoraggio multilaterale rigoroso, premi equi per la protezione delle foreste e una valutazione credibile delle "emissioni esportate", in modo tale che il costo possa essere suddiviso in maniera equa tra chi produce prodotti inquinanti e chi li consuma. L'equità richiede inoltre che la dimensione del peso che ciascun paese sviluppato si accollerà tenga in considerazione la sua capacità di reggerlo; per esempio, i nuovi membri della Ue sono spesso molto più poveri della "vecchia Europa" e non dovrebbero soffrire di più dei loro partner più ricchi.
La trasformazione avrà un costo ingente che sarà in ogni caso molto inferiore al conto pagato per salvare la finanza globale e molto meno costoso delle conseguenze di non fare alcunché.

Molti di noi, nel mondo sviluppato in particolare, dovranno cambiare il proprio stile di vita. L'era dei voli che costano meno del tragitto in taxi all'aeroporto sta volgendo alla fine. Dovremo acquistare, mangiare e viaggiare in maniera più intelligente. Dovremo pagare di più per l'energia e usarne meno.

La prospettiva del passaggio a una società a basso impatto di anidride carbonica contiene tuttavia più opportunità che sacrifici. Alcuni paesi hanno già verificato che abbracciare la trasformazione può portare crescita, posti di lavoro e una migliore qualità della vita.

Anche il flusso dei capitali ci dice che l'anno scorso, per la prima volta, gli investimenti destinati alle varie forme di energia rinnovabile hanno superato quelli impiegati per la produzione di elettricità da combustibili fossili.

Liberarci della assuefazione all'anidride carbonica in pochi decenni che si riveleranno brevi, facendo fronte a una sfida senza uguali nella nostra storia, richiederà uno sforzo straordinario all'ingegneria e all'innovazione. Ma se mandare l'uomo sulla luna o scoprire i segreti dell'atomo sono state imprese nate dal conflitto e dalla competizione, la corsa contro l'anidride carbonica che sta per iniziare dovrà essere improntata a uno sforzo collaborativo che miri alla salvezza collettiva.

Per avere la meglio sul cambiamento climatico occorrerà che l'ottimismo trionfi sul pessimismo, che una visione di ampia portata trionfi sulla miopia, su di ciò che Abraham Lincoln chiamò "i migliori angeli della nostra natura".

È con questo spirito che 56 giornali di tutto il mondo si sono uniti per questo editoriale. Se noi che proveniamo da ambiti nazionali e politici così diversi possiamo concordare su ciò che occorre fare, anche i nostri leader possono farlo.

I rappresentanti politici che si riuniranno a Copenhagen hanno la possibiità di decidere quale sarà il giudizio della storia su questa generazione: una che ha capito la minaccia e che ne è stata all'altezza con le sue azioni oppure una talmente stupida da aver visto arrivare la catastrofe e di non avere fatto alcunché per impedirla. Vi imploriamo di fare la scelta giusta.

(Traduzione di Guiomar Parada)

(La Repubblica, 7 dicembre 2009)
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lunedì, dicembre 07, 2009

Parontri e paroscopiche, ovvero le parole periscopiche


Qualche giorno fa stavo cercando un nuovo gioco per trastullare i figli nelle giornate di pioggia e mi sono ricordato delle parole periscopiche proposte, credo, da Stefano Benni in Il Bar Sotto Il Mare (o Terra? mah). Beh, insomma, mi perdoni il buon Benni e, se nessuno se ne attribuisce il merito, mi sacrificherò assumendone la colpa.

In sostanza, si prendono due o più parole, di solito un sostantivo ed uno o più aggettivi, e si selezionano le lettere iniziali e finali in modo da ottenere una nuova inesistente parola. La parola può essere semplicemente insensata o ricordare un concetto oppure essere buffa, e queste di solito sono le migliori.

Per migliorare il suono (o semplicemente ottenere un effetto buffo) è consentito raddoppiare le consonanti in prossimità della cesura.

Per chi cerca il profitto ad ogni costo, le parole periscopiche riuscite meglio possono diventare slogan pubblicitari, nomi di prodotti o semplicemente geniali password facili da ricordare pur essendo introvabili nei dizionari.

Ecco cosa ha prodotto la famiglia dei girasoli:
  1. parontri = di parole scontri
  2. paroscopiche = parole periscopiche
  3. argustizia = arguta giustizia
  4. influina = influenza suina (riuscireste a temere una pandemia di ... influina?)
  5. lattirra = lattina di birra
  6. autecchia = automobile vecchia (sigh)
  7. cavolla = cavalluccio a molla
  8. bambilita = bambina pulita
  9. brossiccia = broccoli e salsiccia
  10. storlena = storta altalena
  11. fedale = fede nuziale
  12. baligente = bambina intelligente
  13. adolquiondo = adolescente inquieto ed un po' scrondo
  14. bambonda = bambina bionda
  15. maremo = marito scemo (sigh)
  16. moronza = moglie ... (mi tocca precisare che si tratta di autodefinizione)
  17. caffaldo = caffè caldo
Sono riuscito a continuare il gioco in ufficio:
  1. computile = computer portatile
  2. scrivarrone = scrivania marrone
  3. scrivolgente = scrivania avvolgente
  4. caffacchilato = caffè macchiato con cioccolato (dalla macchinetta del caffè)
  5. camollo = caco mollo (il frutto, in mensa)
Scrivetemi le vostre produzioni!
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giovedì, dicembre 03, 2009

I casi della vita, la poesia e gli impegni a cambiare ...



La Tamagorchi, accanto a me, chiacchiera o canta cose incomprensibili -è entrata da poco nell'età della lallazione-, la Principessa ed il Troll in cucina fanno merenda.
La Principessa rosicchia pane con le olive, il Troll mangia yogurt bianco con abbondanti cucchiaini di marmellata, Lifegate alla radio suona musica blues.
Cerco di parlare di compiti con il Troll ma la Tamagotchi sbava, la pulisco con una velina, in dieci secondi cambia umore tre volte, passa dal fastidio del non essere considerata, alla protesta -non le piace venir pulita-, alla felicità di essere guardata e consolata da papà. La moglie, che è andata a portare una cosa allo zio- dovrebbe arrivare a minuti. Riprendo il discorso dei compiti e suona il telefono.
Mentre rispondo alla moglie la Principessa si arrabbia perché non riesce ad arrivare al barattolo della marmellata (per metterla sul pane con le olive?). Calmo la Principessa. Le avvicino il barattolo. Mi cade il telefono e cade la conversazione. Riprendo il discorso dei compiti e risuona il telefono (troppo semplice lasciarla cadere lì, no?).
Ogni tanto penso che non ho mai sopportato le situazioni in cui non è possibile esprimere una idea ed a volte neanche una frase per intero senza essere interrotti.

Mi sfilo dalla cucina per posare il telefono. Mi fermo. Rallento il cuore. Ascolto il mio respiro ed i miei battiti. Scivolo via un attimo con il blues.

Prendo dalla libreria della sala un libretto a caso e leggo:
Anni di giovinezza, vita di voluttà ...
come ne scorgo chiaramente il senso.

Quanti rimorsi inutili, superflui ...

Ma il senso mi sfuggiva, allora.

Nella mia giovinezza scioperata
si formavano intenti di poesia,
si profilava l'ambito dell'arte.

Perciò così precari i miei rimorsi!
E gl'impegni di vincermi e mutare,
che duravano, al più, due settimane.

[Kavafis]
Me lo immagino, Kavafis, nella sua vecchiezza contemplativa di poeta; e ricordo me giovane, e i precari impegni a mutare «che duravano, al più, due settimane».
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martedì, dicembre 01, 2009

Quei bambini di sei anni ancora nel passeggino. Colpa della fretta?



Riprendo qui una discussione nata sul sito Vivere con Lentezza e nata dalla segnalazione di un articolo sul corrierone nazionale che titolava:
Quei bambini di sei anni ancora nel passeggino
di Annachiara Sacchi
Corriere della Sera 29 settembre 2009

Con tanto di sottotitolo: Sempre più mamme lo usano fino a tardi. Il pediatra: un errore.

Sicuramente la fretta è uno dei motivi per cui si tengono i bambini nel passeggino fino quasi alle elementari, ma è anche vero che vedo in moltissime mamme un desiderio di ipercontrollo assoluto misto ad una forma di pigrizia che non consente di vedere il bambino per quello che è, cioè una (piccola) persona con i suoi tempi e le sue necessità.
Il ragionamento che molte mamme fanno è «se lo tengo per  mano si lamenta (e vorrei ben vedere, dico io) se lo lascio libero devo accettare che, nella misura in cui l'età glielo consente, decida  autonomamente come percorrere i prossimi 3 metri di strada e, se sbaglia, riportarlo nella direzione giusta. In passeggino è legato e non mi devo preoccupare per lui mentre rispondo al cellulare o penso alla mia to-do list del giorno».
Ed il problema continua fino alla quinta elementare quando bamboni alti come la mamma vengono accompagnati a scuola dalla genitrice che cerca di entrare fin quasi nel portone della scuola, lascia la macchina con le 4 frecce, si mette in spalla la cartella e accompagna in figliolo fino alla porta.
Al contrario, un bambino alle elementari dovrebbe essere in grado di attraversare quantomeno il suo quartiere a piedi e, secondo i medici, compiere almeno 10.000 passi al giorno.

P.S. La foto non c'entra nulla -perché le mamme di cui si parla nell'articolo hanno di solito solamente un figlio, di cui spesso si lamentano «sai, non sta mai fermo, è veramente impegnativo»- ma era troppo bella.
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sabato, novembre 28, 2009

Il padre del poeta


E' da quando ero studente che non prendo in mano il libretto delle poesie di Prévert. Mi sembravano così esaltanti, futuriste, tragiche e dinamiche. Il libello è schiacciato tra a Budelaire e Stecchetti.
L'immagine di copertina ricorda il sottomarino giallo dei Beatles. La carta ingiallita della copertina odora di polvere e di vecchio.
Pesco a caso. Toh, parla del padre. In fondo anche un poeta deve avere un padre no?
Il figlio della grande rete

Sono nato una sera che nessuno m'aspettava
Quella sera mio padre andava da una serata
col suo otto riflessi
Quando mi vide s'arrabbiò parecchio

Non l'ho mica fatto apposta
disse mia madre

Ma mio padre non volle sentir nulla
si mise a fare gesti con le braccia
e se ne andò
col suo cappello a cilindro
sulla sua locomotiva a pistoni
se ne andò nel paese dov'era invitato
E quando fu arrivato si sedette
col suo cilindro ed un bicchiere d'acqua ghiacciata
sul tavolo davanti a sé
e una caraffa
e parlò
(...)
[Jacques Prévert]
Poi procede raccontando in 3 scarse paginette tutta la storia dell'ascesa e poi della miseria di suo padre e della sua famiglia. A me piace l'immagine del padre nelle prime righe che sembra tintinnare e lampeggiare in una profonda vaquità.
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giovedì, novembre 26, 2009

Il problema dei tre interruttori

Il troll, che al momento frequenta la seconda media -dove gli somministrano misteriose lezioni di problem solving-, ha portato a casa un curioso dilemma che non esito a sottoporvi.



Sei ospite di un distinto signore che abita un appartamento in un vecchio condominio di Milano. Stai chiacchierando nel corridoio e ti guardi in giro. L'appartamento è malmesso, le pareti sono rivestite di carta da parati, le lampadine sono tutte ad incandescenza, coperte di polvere ed emettono una luce giallastra.
Le porte che danno sul corridoio sono di legno verniciato bianco e tutte chiuse. Su una di esse c'è appesa, con due chiodini, una targa di ottone recante le lettere WC. Accanto alla porta c'è ci sono tre interruttori della luce.
Chiedi permesso, ti avvii verso il bagno e ti fermi dubbioso di fronte agli interruttori. Il tuo ospite approfitta della tua perplessità per sfidarti con la seguente scommessa:
«Stabiliamo le seguenti regole: puoi aprire la porta una volta sola e non puoi toccare gli interruttori dopo aver aperto la porta. Ti informo che nel bagno c'è una sola lampadina. Sei in grado di scoprire qual è l'interruttore che la accende?»

La soluzione è nascosta qui sotto, in bianco su bianco, ed è leggibile selezionando il testo.

Accendi il primo interruttore per un minuto, lo spegni. Accendi il secondo ed apri subito la porta. Identifichi la lampadina e la tocchi (stando attento a non scottarti).
Se la luce è spenta e calda, è il primo interruttore.
Se è accesa, è il secondo.
Se è spenta e fredda è il terzo.
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Abemus dominio



Dopo tanto attendere e rimuginare e ripensare, dopo quasi 300 post in due anni di paziente scrittura e notti insonni, dopo aver faticosamente raggiunto le 1.000 visite al mese; ci siamo regalati un dominio tutto nostro:


P.S. Grazie ad una di quelle magie cui, ormai, il web ci ha abituati, i vecchi link a girasolimetropolitani.blogspot.com funzionano ancora.
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lunedì, novembre 23, 2009

L'America, il signoraggio e la guerra


«(...) la Francia ha un'antica avversione verso la supremazia del dollaro. Risale ai tempi del presidente Charles De Gaulle e del suo consigliere economico Jacques Rueff. In piena guerra del Vietnam, Parigi lanciò un'offensiva rimproverando all'America di approfittare del suo "diritto di signoraggio". Grazie al ruolo del dollaro come mezzo di pagamento universale, argomentavano allora De Gaulle e Rueff, l'America finanzia le sue guerre stampando carta moneta che vale sempre meno, quindi esportando inflazione nel resto del mondo. (...)»
Federico Rampini nell'inserto Affari e Finanza di La Repubblica del 12/10/2009
Ora, pensateci un attimo: chi sta pagando il costo delle guerre in Iraq e Afganistan?

Per approfondire sul signoraggio:
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sabato, novembre 21, 2009

Libro: Educazione siberiana - Lilin



Ambientato in un'enclave all'interno di quell'enclave che è, rispetto alla Moldavia, appunto la Transnistria, l'oltre Dnister o Nistro (sulla cui riva orientale sorge questa regione, secessionista dalla Moldavia).

Educazione siberiana è un romanzo ruspante, autobiografico e scritto interamente in prima persona. Gli episodi narrano storie forti, ambientate nella città di Bender, in Transnistria, sotto il dominio sovietico, in un quartiere abitato da una comunità di criminali detti siberiani. I siberiani vivono assaltando treni e commettendo rapine. Hanno un loro complesso senso dell'onore che li fa' assomigliare ai mafiosi della prima metà del secolo scorso. Hanno loro metodi educativi per cui i ragazzi vengono allevati dalle madri, dato i padri non ci sono quasi mai, ed educati dai criminali anziani che hanno lasciato l'attività e vengono mantenuti dalla comunità.
I ragazzi vivono liberi, si muovono in gruppi coesi e, se capita, si battono con le bande degli altri quartieri con coltelli e spranghe ma devono sottostare alle regole dell'onore siberiano che prevedono la morte per chi le vìola.
Anche la polizia ha la mano pesante e le carceri minorili sono un inferno difficilmente immaginabile in un paese civile.
Un capitolo lunghissimo e notevole è quello in cui narra del giorno del suo compleanno, in cui il nostro eroe si troverà, con la sua piccola banda, ad attraversare la città di notte, combattendo contro le altre bande strada per strada e quartiere per quartiere, come in una versione di The Warriors in salsa moldava.
Nicolai Lilin è un ragazzo di poco più di trent'anni con una storia incredibile alle spalle. Ha scritto il libro in italiano (dato che ora vive in Italia sposato ad un'italiana) e bisogna dargli atto di essere riuscito in un'impresa rilevante per qualcuno che ha imparato la lingua da poco. Peraltro la ridotta ricchezza di linguaggio riduce la varietà espressiva ed, alla fine, il romanzo ha un che di ripetitivo che rende difficile la lettura fino in fondo.


Titolo Educazione siberiana
Autore Lilin Nicolai
Prezzo € 20,00
Prezzi in altre valute
Dati 2009, 343 p., rilegato
Editore Einaudi (collana Supercoralli)
Si può trovare su IBS.
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giovedì, novembre 19, 2009

Filastrocca del pulcino



Oggi gara di fumetto tra Troll e Principessa. Ha vinto nettamente la Principessa con l'illustrazione di una filastrocca che imparata a scuola per memorizzare i giorni della settimana.

Lunedì chiusin chiusino
Martedì bucò l'ovino
Viene fuori mercoledì
Pio-pio giovedì
Venerdì un volettino
Beccò sabato un granino
E la domenica mattina aveva già la sua crestina.
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lunedì, novembre 16, 2009

Power to the people




E' da qualche giorno che ho in testa l'espressione «osare più democrazia». Ieri mi è capitato tra le mani un vecchio disco in vinile di John Lennon, un 33 giri.
Ho riascoltato "Power to the people" 3 volte prima di capire perché lo ascoltavo.
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sabato, novembre 14, 2009

I miti dell'influenza suina ed il business dell'Amuchina

Il più bel post sull'argomento che ho trovato è "Influenza suina e vaccino: sui dati reali e sul perché ho deciso di non farlo." da cui traggo il seguente brano:

«(...) L’ influenza va affrontata con buon senso e con i soliti strumenti che siamo abituati ad utilizzare in ogni invernata non lasciandosi tentare da “mode” insulse come ad esempio quelle dei gel disinfettanti per le mani ( amuchina o simili). A nessun giornalista, infatti, e’ venuto in mente di chiedersi a che cosa serve un gel antibatterico nel caso di una influenza che e’ virale per antonomasia. (...)»
La cosa pazzesca è che mia figlia (in prima elementare) ha insistito fortemente a portare a scuola l'amunichina perché le mamme delle altre bambine hanno pensato bene di imporgliela per lavarsi le mani.Noi ci siamo opposti e le abbiamo fatto un ripasso sul quando e come lavarsi le mani con acqua e sapone.

Anche mio figlio che frequenta le medie racconta le stesse scene da film catastrofico tra le sue compagne (fortuna che tra i maschi non attecchisce). L'inutilità della paranoia sembra dimostrata dal fatto che nella classe i mio figlio la percentuale femminile di influenzati corrisponde alla percentuale femminile nella classe.

Nei bagni del mio posto di lavoro sono comparsi cartelli che spiegano dettagliatamente come lavarsi le mani per almeno 2 minuti ed un distributore di "disinfettante" da usare dopo essersele lavate (siamo praticamente ad un passo dall'imporre i guanti chirurgici prima di appoggiare le mani sulle maniglie delle porte).

Alla mensa le ciotole di insalata e verdura sono da qualche settimana tutte incellofanate (con grande spreco di materiale plastico) e sono stati installati nuove protezioni in plastica trasparente per impedire che chi starnutisce in coda al self service possa infettare il pane nei cestoni o i tovaglioli di carta.

Ma se anche la si dovesse prendere, questa influenza, quali sono le conseguenze? Leggo da wikipedia:
(...) l'infezione che si trasmette da uomo a uomo per via aerea come le comuni influenze
la nuova influenza presenta un tasso di mortalità pressoché analogo a quello delle influenze stagionali. (...)

Il tasso di mortalità è stato stimato tra lo 0,02% (contro circa lo 0,2% dell'influenza normale), ma non può tutt'ora essere calcolato perché non si conosce il numero delle persone infettate - molto spesso infettate e guarite senza nemmeno sapere di aver avuto l'influenza suina.

Cioè, la suina è una normale influenza con un tasso di mortalità che è analogo o inferiore a quello della normale influenza stagionale.

Sembra quasi che noi occidentali (e sopratutto italiani) abbiamo bisogno di essere spaventati! E allora, i giornalisti prima, ed i lettori poi si devono avventare ogni stagione su qualcosa di spaventoso come il terrorismo musulmano, l'antrace, il prione della mucca pazza, l’emergenza sicurezza prima e violenze poi, i rom che “rubano i bambini”, l’aviaria, la suina, …

Cos’altro per la prossima stagione?
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martedì, novembre 10, 2009

Einstein e la bicicletta



 «La vita è come andare in bicicletta, dunque,» 
diceva Einstein  
«per mantenere l’equilibrio devi muoverti …»
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venerdì, novembre 06, 2009

Libro: I numeri del terrore


Leggo dal risvolto di copertina:
Loretta Napoleoni, nata a Roma e residente a Londra, è tra i massimi esperti mondiali di terrorismo ed economia internazionale. E' consulente per la Bbc e la Cnn, editorialista per El Pais, Le Monde, The Guardian e pubblica articoli e inchieste su D-Repubblica, La Stampa ed Internazionale. Tra i suoi libri principali, tradotti all'estero, ricordiamo Terrorismo S.p.A. (Tropea, 2005), Al Zarqawi. Storia e mito di un proletario Giordano (Tropea, 2006) ed Economia canaglia (il Saggiatore, 2008). Alcuni tra i più importanti esecutivi occidentali si avvalgono delle sue consulenze sulle strategie e sui meccanismi del terrorismo. Collabora inoltre con numerose forze dell'ordine, tra cui la Homeland Security statunitense, e l'International Institute for Counter-Terrorism israeliano.
E anche:
Ronald J. Bee è direttore dell'istituto Charles Hostler per gli Affari Internazionali alla San Diego State University. E' stato direttore dei Programmi per il Medio Oriente (Progetti speciali) all'Institute on Global Conflict and Cooperation della University of Caifornia,ed è stato assistente speciale per gli Affari di Sicurezza Nazionale al Palomar Corporation di Washington D.C. Tra le sue pubblicazioni: "Looking the tiger in the eye: confronting the nuclear threat" (1988) che ha vinto il Christopher Award ed è stato segnalato tra i "libri dell'anno" dal New York Times, e "Seven minutes to midnight: nuclear weapons after 9/11" (2006).
Beh, non è propriamente i tipici giornalisti veterocomunisti, no?
Ma sentiamo l'introduzione:
Tutti sanno che i terroristi fanno leva sulla paura per raggiungere i loro scopi, pochi però sono consapevoli che i capi di stato ricorrono alla medesima tattica. E non si tratta di un fenomeno nuovo: la politica della paura è una strategia subdola orchestrata per raccogliere consensi, spesso per imporre politiche altrimenti impopolari. I governi ingigantiscono la politica del nemico, instillano la paura nell'elettorato e poi manipolano i timori della gente per perseguire i propri obbiettivi politici. E' accaduto durante la Guerra Fredda, quando Washington ha gonfiato la minaccia sovietica per bloccare l'avanzata dei partiti comunisti all'interno del blocco occidentale. Oggi le cose non sono molto diverse e la politica della paura è la giustificazione ideologica della Guerra al Terrorismo e delle sue molteplici ramificazioni, compreso il conflitto iracheno e la minaccia nucleare iraniana. Dietro questa politica. si nasconde il tentativo neoconservatore di ristabilire l'egemonia americana in alcune zone-chiave del mondo.
Se siete curiosi di sapere come ha fatto ad arrivare a queste considerazioni, leggete il libro che è una vera e propria miniera di informazioni e ricostruzioni storiche in grado di ricollegare tutti gli echi delle storie apparse sui giornali dall'11 settembre 2001 (attacco alle torri gemelle) in poi narrando una storia di notizie false o mal-interpretate prodotte per spaventare i cittadini occidentali e giustificare la guerra in Iraq e la rielezione di Bush.
Inutile nasconderlo, la guerra al terrorismo è stata una vera e propria bufala, costruita artificialmente nel Think Tank (sigh: Project for the New American Century - Progetto per un nuovo secolo americano) di Cheney per cavalcare l'attentato alle Torri Gemelle.
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giovedì, novembre 05, 2009

Rapporto Caritas su immigrati e reati: è falsa l'emergenza criminalità

La notizia è vecchiotta, ma mi è ricapitata in mano mentre mettevo a posto la collezione di ritagli di giornale.
Da La Repubblica — 07 ottobre 2009   pagina 10

Immigrati e reati, rapporto Caritas. È falsa l' emergenza criminalità

ROMA - Immigrati uguale criminali? Falso: è sbagliato quanto pensano 6 italiani su 10, secondo i quali gli immigrati sarebbero portatori di insicurezza. Il tasso di criminalità degli immigrati infatti in Italia è solo leggermente più alto di quello degli italiani (tra l' 1,23% e l' 1,4%, contro lo 0,75%) e addirittura è inferiore tra le persone oltre i 40 anni. È quanto emerge dalla ricerca della Caritas-Migrantes e dell'Agenzia Redattore sociale. Il coinvolgimento degli immigrati nei reati, inoltre, riguarda la condizione di irregolarità: tra il 70% e l' 80% degli stranieri denunciati, infatti, è irregolare. Insomma, la delinquenza cresce nella clandestinità. E ancora: il reato commesso da 4 stranieri su 5 (87,2%) ha a che vedere con la violazione della legge sull'immigrazione. In generale, dunque, non esisterebbe alcun legame fra l' aumento degli immigrati regolari e l' aumento dei reati in Italia: tra il 2001 e il 2005, mentre gli stranieri sono aumentati di oltre il 100%, le denunce nei loro confronti sono cresciute solo del 45,9%. «È esagerato sostiene Franco Pittau, coordinatore del dossier CaritasMigrantes - insistere sull'emergenza criminalità, sono affermazioni da cui gli italiani escono male». Ed è falso conclude la ricerca - dire che il tasso di criminalità degli immigrati è di 5-6 volte superiore a quello degli italiani. -
... se ci fosse ancora la necessità di dirlo.
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martedì, novembre 03, 2009

E se un palazzo si trasforma in casetta?


Oggi, mentre tornavamo a casa in bicicletta dopo essere stati prima in posta e poi a fare il pieno di latte crudo la Principessa mi ha chiesto «Papà, secondo te è possibile che un palazzo, quando non lo vede nessuno, si trasformi in una casetta?»
«Beh,» dico io «deve essere vuoto»
E lei «si, quando è vuoto e non lo vede nessuno. Poi si addormenta.»
«Ma, e se arriva qualcuno mentre dorme?»
«Vede una bella villetta», logico no?
Poi fingo di capire, «ed allora, ti immagini la faccia del tizio che è arrivato mente la casetta stava dormendo, poi di volta, si distrae, si rigira e vede un palazzone immenso?»
«Eh, già. Sai che buffo.»
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domenica, novembre 01, 2009

L'ultima signora


L'ultima signora si erge
orgogliosa alla fine
della sua stagione
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giovedì, ottobre 29, 2009

Piccola guida al consumo del latte crudo


A qualcuno di voi sarà capitato di vedere comparire in alcune città i distributori di latte crudo e di domandarsi cosa sono.
La cosa funziona così: in Italia fino a poco tempo fa era proibito vendere al consumatore finale latte non pastorizzato. In seguito ad una direttiva europea la legge che vietava tale pratica è stata abrogata chiedendo alle regioni di stabilire quali siano le normative sanitarie (regolamenti e disciplinari) da seguire per il trattamento del latte.

Il latte può essere bevuto crudo?
Una banale osservazione può essere che le mamme dei mammiferi (dunque anche le mucche) non hanno bisogno di bollire il latte prodotto dal seno.

L'idea di fondo è che, se la mucca è sana, il latte che esce dalla mammella della mucca è sano. Se tutto tutto il percorso dalla mammella al consumatore finale è sterile e adeguatamente refrigerato, il latte sarà sano.

Per garantire che il latte crudo sia sano, i disciplinari di produzione e distribuzione del latte crudo prevedono:
  1. controlli sanitari stringenti (verificati dai veterinari dell'ASL) sulle mucche
  2. che tutto il percorso dalla mungitrice al distributore ed il distributore stesso sia sterile e adeguatamente refrigerato
  3. che il rifornimento sia quotidiano
Nonostante ciò  una discussa ordinanza del ministero delle politiche agricole (ordinanza 10 del 2008) prevede l'obbligo di riportare la seguente scritta sul distributore: «prodotto da consumarsi dopo bollitura».

Vi confesserò che noi beviamo latte crudo da più di un anno senza evidenti effetti collaterali.

Vantaggi del latte crudo
Il latte crudo:
  1. è più saporito e gustoso
  2. non viene sottoposto a trattamenti che ne alterino il gusto o le proprietà
  3. costa meno (0,80EUR contro più di 1,5EUR)
  4. dato che il distributore del latte crudo deve (per regolamento) essere gestito dallo stesso allevatore, garantisce un reddito giusto all'allevatore (si consideri che il costo all'allevatore di un litro di latte è tra i 0,35€ ed i 0.40€ al litro, mentre le industri di confezionamento lo acquistano a 35 centesimi o meno, cioè al prezzo di produzione o addirittura in perdita mentre noi lo paghiamo 1,50€ o più)
  5. per le sue caratteristiche il latte crudo è un prodotto di prossimità (la legge prevede che sia nella stessa provincia o di una provincia confinante) per cui si contribuisce alla salute dell'agricoltura del proprio territorio
  6. in genere si acquista una bottiglia di vetro che poi si riutilizza (avendo cura di lavarla bene) centinaia di volte, producendo meno plastica e meno spazzatura
  7. i distributori sono self-service e, dunque, aperti 24h su 24
  8. al distributore è, in genere, possibile comprare anche vari tipi di yogurt e qualche volte anche dei formaggi prodotti dallo stesso contadino
Svantaggi del latte crudo
Il latte crudo:
  1. dura, in genere, meno del latte normale (meglio non tenerlo in frigo più di 3 giorni)
  2. bisogna andarlo a prendere al distributore e, normalmente, non se ne trovano nei centri commerciali
  3. i distributori non sono ancora molto diffusi

Consigli
E' consigliabile porre una certa attenzione:
  1. per mantenere la catena della sterilità è consigliabile lavare bene la bottiglia, magari sterilizzarla con una veloce passata nel microonde
  2. mantenere refrigerato il prodotto per quanto possibile, dunque cercare di passare dal distributore mentre si sta tornando a casa e non mentre si esce
Inoltre, consiglio di:
  1. usare la chiavetta magnetica dove possibile, perché spesso il distributore è utilizzabile con le monete (in genere al costo di 1€ per litro di latte) oppure con una chiavetta magnetica ricaricabile al distributore stesso. La chiavetta consente di accedere a diversi sconti (a titolo di esempio, quella vicino a casa mia offre 25L di latte per 20€ di ricarica in modo che 1L=.80€)
  2. acquistare almeno due bottiglie in vetro. per riempire una bottiglia quando l'altra ancora è in frigo con un po' di latte. Il distributore offre le bottiglie di plastica (sterili) a 0,20€ o la bottiglia di vetro a 1€ oppure 2€ la bottiglia lusso (serigrafata).Il vetro, oltre ad essere bello e piacevole da maneggiare, dura a lungo e non inquina.
Come trovare il distributore di latte crudo più vicino
www.milkmaps.com è una mappa dei distributori di latte crudo in Italia. Tutti e quattro i distributori che conosco (tre in Lombardia ed 1 in Trentino) sono indicati correttamente.
 

Approfondimenti
Per chi volesse approfondire:
  •  Accordo Stato-Regioni latte crudo (PDF): Intesa tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano in materia di vendita diretta di latte crudo per l’alimentazione umana (tolte le premesse e un po' di legalese, gli articoli del regolamento sono chiari e ben scritti)
  • Il sito www.bevilatte.it è una vera e propria miniera di informazioni e consigli sul latte crudo ed una fonte molto ben documentata sulla sicurezza dell'alimento
  • Sul sito del gruppo si acquisto (GAS) di Segrate c'è un ottimo articolo divulgativo sui vantaggi del latte crudo
  • "Chi ha paura di quello appena munto" è un bell'articolo di Sara Strippoli su Repubblica del 29/01/2009
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martedì, ottobre 27, 2009

Quanta superfice ci vuole per dare energia al mondo?

Era da un po' che non frequentavo l’ottimo sito Eco Alfabeta, ed anche questa volta è riuscito a stupirmi con l'immagine che segue:


Clicca per ingrandire

Quel piccolo quadratino grigio in centro al mondo è la superficie totale che servirebbe per allestire pannelli solari in grado di fornire a tutto il mondo l’energia necessaria nel 2030 (con un incremento di un terzo di consumi energetici rispetto ad oggi).  Il quadratino verde nel Sahara sarebbe sufficiente a dare energia a tutta l’Europa.
Non per caso grandi aziende private in Germania stanno investendo ingenti somme in questa direzione attraverso il progetto Desertec. Speriamo.
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sabato, ottobre 24, 2009

Un quadro: Elise dipinta da Renoir

Quando entro in una libreria e, come spesso capita, desidero un libro che so che non leggerò  -per mancanza di tempo o di neuroni- finisce che compro un volumetto di arte, visto che ne nutro una grande ignoranza che desidero compensare.
Questa volta ho comprato un volumetto (poco più sottile di una rivista) dedicato a Renoir ed alla sua opera. Nelle sere in cui non ho abbastanza energie per dedicami a leggere o a scrivere, sfoglio il libretto di turno e leggo qualche pagina a caso della biografia dell'artista.
In questo sottile volume dedicato a Renoir ho incontrato il ritratto di Lise "d'estate" e, ogni volta che sfoglio queste 50 pagine patinate, mi sembra che tutto complotti per portarmi a rivedere lo stesso quadro. Tanto che ho rotto la rilegatura proprio su questa pagina e che lascio in giro per casa la rivista aperta su questa immagine, per avere ancora occasione di riguardarla passando di lì, o quando la devo rimettere via.


D'estate (1869)
Pierre-Auguste Renoir

Emile Zola definisce Lisa, la modella preferita di Renoir, «una delle nostre donne, anzi una delle nostre amanti, dipinta con grande verità ed una felice individuazione dell'aspetto moderno».
Non so come fosse ai loro tempi ma io, in questa immagine, trovo bellezza e lieve sofferenza, luce e vita di giovane donna.
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giovedì, ottobre 22, 2009

Volti di donne: la bellezza, la femminilità e lo stereotipo televisivo

Questa mattina sfogliavo pigramente il giornale mentre continuavo a rimuginare sull'immagine delle donne trasmessa dalla televisione che, per molti italiani, è purtroppo la (sola) finestra sul mondo.
Il documentario Il corpo delle donne, di cui ho scritto nel mio precedente post, mi ha dato molto da pensare, in questi giorni.
Sfogliando la Repubblica mi hanno colpito le fotografie nella pagina dedicata alla campagna "DONNE OFFESE DAL PREMIER" nata dopo l'acre battuta sul rapporto bellezza/intelligenza di Rosy Bindi.



Volti di donne vivaci, straordinarie, normali. Diverse.
Al contrario della donna rappresentata in TV: sempre sexy, tirata, rinoplasticata, dentatura rifatta, seni siliconati, labbra tumefatte, zigomi rialzati e chiappe liposolute; queste sono persone vere, che esistono e sono interessanti. Volti che esprimono personalità sottolineata dai difetti sinceri che rendono ogni persona unica. Molte, come è giusto che sia, portano gli occhiali. Quante, delle donne televisive belle e di successo, portano gli occhiali?

Tra queste donne ci potrebbe essere il volto di nostra moglie, della figlia, della madre, della zia, della collega, o, anche, una qualsiasi delle donne che si guadagnano il rispetto impegnandosi, oltre che al lavoro ed in famiglia, anche nella società, nel volontariato, nella politica (ma anche nella letteratura, nell'arte e nella scienza). Donne le cui foto non compaiono in TV ma neanche sulle riviste femminili, marce di uno stereotipo di bellezza anodino e sempre uguale a se stesso.

Che cosa ci è successo? Che idea abbiamo della donna? Che idea abbiamo della bellezza? Come ci aspettiamo che debba essere la femminilità?
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martedì, ottobre 20, 2009

Il corpo delle donne

IL CORPO DELLE DONNE è il titolo del nostro documentario di 25′ sull’uso sull'uso della donna in tv. La donna che smette di essere persona e che a cinquant'anni non può portare orgogliosamente le rughe che pure  ha impiegato una vita a farsi venire. La donna che smette di esistere per lasciare solo un feticcio virtuale che, come un avatar, la rappresenta incompleta e caricaturata. 

Le modelle non sono vere, le veline ancora meno. Non invecchiano, sono più alte di un uomo di discreta presenza, ma portano la taglia di un bambino. E tutti quei sacchetti di silicone che sostituiscono i, magari piccoli e imperfetti, seni? E quelle labbra che sembrano tumefazioni?


Il documentario realizzato da Lorella Zanardo e Marco Malfi Chindemi picchia duro e racconta quello che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni ma non vediamo.

Il corpo delle donne, capitolo 1:




Il documentario intero si può trovare nel sito:



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domenica, ottobre 18, 2009

Da confezioni a cartacce


Ieri, a Segrate, c'era un gran vento. Di quelli che non si vedono più di un paio di volte l'anno e spazzano le nubi fino a farci vedere il Monte Rosa.

Davanti alla scuola ci sono diversi cestini della spazzatura, colorati di un blu inquietante. I cestini vengono in genere utilizzati per i resti delle merendine che i bambini consumano di fretta appena usciti da scuola prima di tuffarsi nelle attività sportive o nei compiti.
Il forte vento ha praticamente svuotato i cestini e tutte le carte leggere -involucri igenici di patatine, merendine o caramelle-,che si trovavano nella metà più alta del cilindro si trovano ora sparse per i prati.

Non si può dire che sia colpa della maleducazione, le cartacce erano ben state messe nel cestino; e neanche del comune, non si può certo pensare che lo svuotamento di tutti i cestini ogni poche ore sarebbe economicamente sostenibile.

Ma è proprio necessario che la confezione di una merenda da pochi centesimi che viene consumata in piedi fuori dalla scuola, abbia una confezione in grado di durare 1000 anni e più?
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venerdì, ottobre 16, 2009

Accidia e Cura

Parola misteriosa e tanto importante da definire il secondo dei sette peccati capitali, l'accidia è una delle parole comuni di cui, in somma ignoranza, non conoscevo il significato.


Pieter Bruegel the Elder- The Seven Deadly Sins or the Seven Vices - Sloth

Una breve ricerca su Wikipedia insegna che l'accidia deriva dal greco: «senza cura», cioè l'opposto dell'espressione inglese «I Care» e che, nel cattolicesimo l'accidia è uno dei sette peccati capitali ed è costituito dall'«indolenza nell'operare il bene». 

L'accidia è l'avversione all'operare mista a noia e indifferenza.

Per fare un esempio dei nostri tempi, mi viene da pensare al caso di quel grande ospedale di Roma (ed in chissà quanti altri ospedali italiani) dove le persone morivano di infezioni perché nel corridoio di attraversamento da un reparto all'altro (ad esempio da medicina a radiografia) c'erano cumuli di macerie e spazzatura infestati da topi.
Il direttore sanitario si è difeso dicendo che nell'ospedale vi sono migliaia di corridoi e lui non può vederli tutti, i primari dei reparti di partenza e di arrivo si sono trincerati dietro le competenze territoriali, e la ditta incaricata di fare le pulizie dice che nessuno ha mai chiesto loro di pulire quel corridoio e nessuno si è mai lamentato del fatto che non lo pulissero.
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mercoledì, ottobre 14, 2009

Libro: Il banchiere dei poveri

Veramente non so cosa mi spinga ad acquistare certi titoli ed ancora meno cosa mi spinga a leggerli al posto di un buon romanzo. Ma tant'è, l'ho letto, mi è piaciuto ed eccomi a proporvelo.

Difficile da recensire, non è esattamente una biografia e non è un saggio ma un appassionante dondolare tra biografia personale e racconto di un'impresa unica: come fondare un'azienda privata senza scopo di lucro cercando un modo per affrontare la terribile povertà che affliggeva (ed, in parte ancora affligge) il Bangladesh.

Muhammad Yunus è un professore universitario di economia che, pur essendo bengalese e musulmano, appartiene alla ristretta elite del suo paese, formatasi alle migliori università americane.

Durante una terribile carestia si trovò, con i suoi studenti, a interrogarsi sul perché della miseria, della povertà più terribile -quella per cui si muore di fame e inedia- che attenagliava tanti nel suo paese.

Non trovando risposte nelle teorie economiche standard si impegnò in un lavoro di ricerca sul campo usando come cavia un poverissimo paesino rurale in prossimità della sua sede universitaria.

Dopo lunghe osservazioni arrivò alla conclusione che la povertà più nera non era legata alla mancanza di cultura o volontà ma, semplicemente, alla mancanza dei minimi capitali necessari ad avviare una attività redditizia. Per esperimento aiutò quattro poverissimi ad attivare una attività ragionevolmente redditizia, e questa attività gli era costato la irrisoria cifra di 27$.

Visto che i veri poveri non hanno nulla da dare in garanzia e che nessuna banca tradizionale avrebbe offerto loro credito, creò una piccolissima banca "etica" al solo scopo di prestare soldi a interesse ragionevole (attorno al 20%, pochissimo rispetto a quello che prendevano gli usurai) a coloro che non possono offrire garanzie ed in particolare ai poverissimi, scoprendo che (con un sistema di micro rate settimanali) riusciva ad ottenere un tasso di restituzione del 98%, cioè molto più alto rispetto a quello che riescono ad ottenere le banche tradizionali. Era nata la prima banca di microcredito.

Il libro racconta in 286 pagine l'appassionante sviluppo della banca e di tantissime altre attività correlate, fino al Premio Nobel per la Pace ricevuto nel 2008.
Il racconto cronologico si ferma a pagina 204, e potrebbe bastare, ma consiglio di leggere anche qualche spigolatura dalle parti successive pur essendo queste di più difficile lettura (ed alcune idee di Yunus riguardo allo stato sociale all'europea meno condivisibili).

Concludendo, siete curiosi riguardo al funzionamento ed alla nascita delle banche di microcredito e siete stufi delle solite semplificazioni giornalistiche oppure volete scoprire in cosa le teorie economiche classiche hanno fallito non fornendo alcun serio quadro interpretativo di una realtà (la povertà) che interessa ampie fasce della popolazione mondiale? Allora leggetelo, vi incollerà alla lettura per almeno cinque o sei serate.

In Google Books se ne trova un'anteprima di diverse pagine (in realtà sembra il testo completo della quinta edizione cui hanno tolto circa 2 pagine ogni 5).
Per chi volesse comprarlo vi rimando alla solita scheda su IBS.

P.S. Sul Corriere del 4 luglio 09 ho trovato l'unico articolo critico sulla Grameen-bank: Microcredito: ora i poveri si ribellano
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lunedì, ottobre 12, 2009

(Vignetta) I nostri militari sono in Afghanistan per ...




Le nostre truppe sono in Afganistan ...
a difendere i nostri soldati.

Questa vignetta è Open Source, fatene quel che volete.
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sabato, ottobre 10, 2009

Mangiarsi le unghie



Ieri sera mi sono trovato a riprendere la mia Principessa di 6 anni:
«Guarda che non sta' bene mangiarsi le unghie in pubblico.
Quantomeno eviterei di stare sul divano a sgranocchiare quelle dei piedi.»
... e poi c'è ancora qualcuno che dice che non discendiamo dalla scimmia.
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giovedì, ottobre 08, 2009

Convincere i bambini a mangiare frutta e verdura


Volevo intitolare questo post "Far mangiare le verdure ai bambini", ma sarebbe stato sbagliato in partenza, perché i bambini imitano istintivamente quello che fanno i genitori, dunque sarebbe stato più corretto "Mangiare le verdure con i bambini". Ma anche questo non è sufficiente, come vedremmo più avanti.

Prima di procedere devo fare alcune, noiose, precisazioni: non sono medico né nutrizionista, ma ho tre figli che mangiano volentieri frutta e verdura e io stesso le mangio volentieri. Di seguito vi racconterò come funziona nella nostra famiglia.


~ I bambini ci guardano ~
I bambini ci ascoltano ma, sopratutto, ci guardano anche e si comportano di conseguenza. Per predisporre le condizioni minimali di relazione con i bambini, noi mangiamo -almeno a cena- tutti insieme, seduti al tavolo e con TV spenta. Questo ci permette di commentare assieme i fatti della giornata, ma anche il cibo che si mangia.
Ovviamente, se in tavola ci sono bibite zuccherate (coca-cola, aranciata o simili) è inevitabile che ne consumino anche loro.
Se uno dei genitori adotta espressioni schifate di fronte a certi cibi, i figli ne terranno conto. Noi, ad esempio,  abbiamo dovuto faticare parecchio per far gustare i cetrioli ai miei figli visto che la mamma non li mangia.


~ Remare controcorrente ~
Non c'è niente da fare, i bambini sono geneticamente programmati (così dicono gli scienziati) per apprezzare i gusti dolci (non amari) e salati (non acidi), senza dimenticare i grassi, che rendono tutto più buono.
Dunque, ad apprezzare le verdure (spesso amarognole o acidelle) bisogna imparare.
Ovviamente, dal punto di vista alimentare bisogna ricordare i carboidrati (come pane, pasta, riso, patate) comprendono anche gli stessi zuccheri cui sono chimicamente molto simili.


~ La forza dell'offerta ~
Inutile illuderci più di tanto, siamo tutti consumatori e tutti i consumatori sono condizionati prima di tutto dall'offerta.
I bambini sono consumatori di ciò che c'è in casa. Se la dispensa o il frigorifero sono pieni di merendine i bambini mangiano merendine. E siccome le merendine sono studiate per piacere ai bambini sono composte approssimativamente di un terzo di carboidrati, di un terzo di zuccheri e di un terzo di grassi (e non fatevi ingannare dalle pubblicità che dicono che sono sane, naturali e piacciono alle mamme).
Dunque, le merendine sono molto buone e molto nutrienti, nonostante l'esile apparenza, ed un bambino ben nutrito durante il giorno avrà poca fame al momento del pasto.

Al contrario, la frutta è meno nutriente e contiene un sacco di proprietà interessanti (fibre naturali, vitamine, antiossidanti, etc). La frutta è anche dolce e si presta bene a riempire i vari intermezzi della giornata. Solo che la frutta presa dal frigo è spesso dura e insipida, dunque noi ne lasciamo sempre un po' su un piatto di portata sul tavolo della cucina.

Il potere dell'offerta si estende anche a tavola, se si offrono a tutti i pasti almeno due tipi di verdura (di cui almeno uno crudo) mentre si fanno scarseggiare i carboidrati e le carni, il bambino finirà per esserne attratto.


~ La forza della scarsità ~
Inutile nascondersi dietro un dito, se il bambino è sazio, mangerà -se mangerà- solo per gola. Dunque, è necessario smontare il classico menù italiano -primo, secondo con contorno e dessert con cui si arriva alle verdure (cioè il contorno, sigh) quando si è già satolli di pastasciutta- alternando pasti basati sul primo con pasti a piatto unico, in cui la verdura venga proposta come piatto centrale accompagnato con un po' di pane e formaggio o affettati.


~ Ogni tanto ci vuole polso ~
La famiglia NON è un'istituzione democratica e non vi è nulla di strano ad imporsi ogni tanto con voce grossa e minaccia di digiuno per il bambino.
Una regola che abbiamo stabilito in casa è che siccome tutto quello che offriamo a tavola è buono per adulti e bambini (fatto salvo per i cibi piccanti o gli alcolici) ogni pietanza va almeno assaggiata.
Cioè, è vero che i gusti personali che possono spingere maggiormente verso un cibo o l'altro, ma bisogna saper mangiare tutto, al limite in modesta quantità.


~ I bambini apprendono giocando ~
Ai bambini piace mangiare cibi alla cui preparazione hanno partecipato, anche solo parzialmente.
Quando siamo in stagione compriamo i fagiolini freschi ci facciamo aiutare dai bambini a togliere le punte, prima di cuocerli. Sotto la supervisione di un genitore, possono lavare le verdure come l'insalata (aiutati da uno sgabello che consenta di raggiungere il lavandino) ed in alcuni casi tagliarle (quando è sufficiente un coltello da tavola).

E non bisogna dimenticare l'arte del furto (ai bambini piace un molto il cibo rubato), nell'orto del nonno, nella stagione giusta ci appostiamo e quando nessuno ci vede andiamo a rubare i pomodorini che sono fantastici mangiati davanti alla pianta ancora caldi dal sole. Stessa sorte alle carotine cavate dalla terra con le mani e mangiate come sono dopo averle sciacquate sotto l'acqua.
Ma prima ancora, è bellissima la semina -magari in un rettangolo riservato- in modo che il bambino possa veder prima crescere e poi mangiare le "sue" verdure accuratamente cotte dalla nonna.
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Mi sento fortunato