giovedì, dicembre 31, 2009

Che fine ha fatto la fantascienza?



«Il futuro non è più quello di una volta.»
Arthur C. Clarke oppure Paul Valery

Ieri sono stato in una libreria e, dopo aver meditato per una buona mezz'oretta se fosse il caso ci acquistare un saggio (una boccata di realtà) un romanzo o una raccolta di poesie (cercavo qualcosa di Wislawa Szymborska ma non lo avevano), sono sbottato, per lo stupore della moglie, con un: «ma la fantascienza non c'è più?».
Cioè, non è che manchino le opere di fantasia, ma sembrano più fantasy oppure horror o, ancora, gialli-polizieschi ambientati in un futuro prossimo e claustrofobico.

Ha già, penso, "Spazio 1999" è passato. Pure "2001 Odissea nello spazio" con la sua continuazione "2010 l'anno del contatto" sono ricordi del passato.
Negli anni novanta son passati come frecce i cyberpunk con le storie del neuromane, di Jonny Mnemonic e la sua guardia del corpo potenziata con occhi e muscoli innestati e simpatiche unghie retrattili. La matrice, la rete, era diventata cosciente e ... e avrebbe potuto finire tutto come in Matrix.

Ma già non c'era ottimismo. Siamo troppi, troppo vicini, dobbiamo dividerci risorse sempre più scarse e vivere in città sempre più affollate ed impersonali. Non c'è fuga che non sia sintetica, sia essa chimica o elettronica.
Dov'è finito il sogno della frontiera, dei nuovi mondi da conquistare dei nuovi spazi da colonizzare?
La scienza, come l'evoluzione, non procede mai in linea retta e tutto ciò che che la fantascienza della prima metà del secolo aveva previsto, non è andato oltre il viaggio sulla Luna, nel 1969.

Le avventure narrate da Salgari? Sono possibili solo se vi sono ancora territori lontani, selvaggi e inesplorati.
La fisica dell'endecalogia di Asimov? Richiede come minimo che vi sia una fonte di energia sicura, illimitata e compatta adatta a far muovere illimitatamente robot umanoidi e astronavi spaziali che allargano costantemente il nostro spazio ed il nostro orizzonte conquistando nuovi pianeti e sistemi stellari.

Ed invece, eccoci bloccati in una ciotola piccola e sempre più sovraffollata. Gli umani aumentano costantemente e lo spazio non aumenta, le risorse non sono infinitamente riproducibili ed ad un certo punto saranno solo razionabili.

Mentre medito sono nudo, seduto su una sedia in bagno accanto al termosifone bollente, lo scaldino elettrico che lavora a pieno regime e l'acqua della doccia che corre, avvolgendomi in una piacevole nuvola di vapore. Mi scuoto e rabbrividisco allo spreco di energia e acqua che sto perpetrando ai danni dell'umanità.

Nel pieno del 1900 un pensiero simile non sarebbe mai arrivato perché vivevamo nella convinzione che l'energia e l'acqua erano solo temporaneamente limitate, in attesa di nuove tecnologie che sarebbero arrivate a breve, di nuove risorse che sarebbero state scoperte, di nuove infrastrutture che già erano in costruzione.

Ecco, non abbiamo modo di sapere come sarà il 2010, ma sicuramente sarà il momento in cui la coscienza degli umani interiorizzerà il fatto di vivere in un mondo finito (nel senso di non infinito), in grado di fornire solo una certa quantità di risorse naturali (cibo, foraggi, pesce, spazio, energia, acqua potabile) e che, per il momento, non ci sono nuovi spazi da conquistare e da sfruttare. Essendo la torta quella che è, possiamo solo cercare di dividerla al meglio e sprecarne il meno possibile.
E riscopriremo, forse, antichi modi per essere felici e nuovi modi per sognare il futuro, quello che nel decennio passato ci è mancato.

Buon decennio a tutti!
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mercoledì, dicembre 23, 2009

Buon Natale, foglie d'erba



Foglie d'erba
~ 31 ~
«Io credo che una foglia d'erba non valga meno dell'infinito moto delle stelle,
c'è la stessa perfezione nel granello di sabbia, nella formica, nell'uovo dello scricciolo,
la raganella è un capolavoro tra i più alti,
ed il rovo rampicante potrebbe ben adornare i salotti del cielo,
la più piccola giuntura della mia mano può disegnare qualunque meccanismo,
la vacca ruminante a capo chino è più bella di qualsiasi statua,
ed il topo è in se un miracolo bastevole a scuotere miriadi di increduli»
Walt Whitman

Fotografia gentilmente regalata da Paolo Ballarini con licenza Creative Commons Attribution Non-commercial Share Alike 
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domenica, dicembre 20, 2009

Nevica, Luciana racconta le città a modo suo


Insomma, nevica (pochino) da 4 giorni e Milano ed hinterland sono nel caos. Il traffico viaggia a velocità sublumaca, i mezzi pubblici ci sono e non ci sono (chissà come mai le FS sopprimono treni, quando il mezzo meno influenzato dalla neve dovrebbe essere proprio il treno) e le signore si lamentano che vialetti e marciapiedi non sono spazzati ad arte.
Siccome sapevo che le polemiche ci sarebbero state anche quest'anno come l'anno scorso e gli anni precedenti, ho tenuto da parte la trascrizione di questo brano della Lucianina nazionale fino ad oggi, sicuro di non sbagliare.

Luciana Littizzetto ad un Che Tempo che Fa di gennaio 2009.
E'nevicato, non so se vi siete accorti.

Non era qualcuno che scuoteva il pandoro dal balcone.

Peccato che siano partiti degli emboli che neanche fosse scesa dal cielo l'apocalisse. Tutti a gridare: Emergenza, emergenza. Emergenza una mazza.

E' gennaio? Nevica!

Dovremmo essere contenti. Vuol dire che la terra ha ancora qualcosa di normale.

Se l'8 gennaio ce ne stavamo tutti in piazza Castello in mutande con le ascelle sudate e le balle dentro al frigo allora sì che era emergenza.

A Gaza c'è l'emergenza. Non qua.

Invece è scoppiato un macello. Tutti a mettere in croce il povero Chiampa e la povera Moratti. Che anima santa. Aveva poco sale. Anche a me capita.

Tra l'altro aveva poco sale perché l'aveva prestato a Chiamparino.

Gliel'ha dato e poi a Milano sono rimasti senza. Quando si è accorta che nevicava forte si è messa persino a dissalare le acciughe che aveva preso a Spotorno ma non è bastato.

Lety, guarda: sei stata ben gentile, a darci il sale. Siamo in debito.
Quando hai bisogno di due uova per fare la maionese suona pure a me quando ti
pare..

Comunque è strano.

La neve nelle favole rende tutti più buoni, e invece eran tutti isterici, sembrava fossero scesi dal cielo trenta centimetri di cocaina.

Una lagna mai più finita.

«Eh ma facciam fatica a camminare.».

Certo che se ti metti i tacchi per far la figa, facile che vai lunga e tirata.
Mettiti dei bei scarponcini come le pastorelle di Fatima vedi che stai in piedi .. la figa la fai poi quando i giardini di marzo si vestono di nuovi colori, deficiente.

«Eh ma ci sono i marciapiedi pieni. E il Comune che fa?». E cosa fa? Fa passare gli spazzaneve. Ma nelle strade. Non è che li fa passare sui marciapiedi se no porta via anche i citofoni.

Uno gentilmente prende la pala, si leva la neve dal marciapiededi casa sua e non rompe i marroni al sindaco.

La pulizia del marciapiede spetta ai proprietari degli stabili.

Quindi spàlati la neve davanti al tuo portone e falla finita.

Se lo fanno tutti vedi poi com'è più facile camminare.

«Eh ma dovevano chiudere le scuole». Probabilmente sì. Però se non ce la fai a portare tuo figlio a scuola tienilo a casa.

E' un ragionamento difficilissimo?

Non credo. «Nevica. E con l'autobus c'ho messo mezz'ora di più».

Ed è colpa della Moratti? Cosa deve fare sta disgraziata? Correre a raccogliere i fiocchi con la lingua di fuori?

O magari con le chiappe, facendosi tirare per le caviglie, come si fa in spiaggia per fare la pista per le biglie ? Non è che è nevicato solo per te.

E' nevicato per tutti. Avran tutti dei casini. pazienza. Se arrivi in ritardo Brunetta stavolta chiuderà un occhio. «Dovevano mettere più autobus... ». Certo. Chiampa adesso compera 20 bus in più e li tiene in garage e li tira fuori solo quando nevica.

Per te.

C'è scritto nel bilancio comunale.Venti autobus in più per quella lì che si lamenta.

Ma tira fuori il tuo di SUV e sparisci.

Si chiama fuoristrada no? E allora per una volta usalo per quel che è, che sei sempre lì a intasare in doppia fila davanti alla scuola col tuo autoblindo.

Insomma. Quando nevica gli unici contenti sono i bambini e i cani.

I bambini che si tirano le palle di neve e i cani che fan la cacca sul pulito.

E poi, dopo qualche giorno, quando i bambini si tirano le palle di neve con dentro la cacca dei cani, la festa è belle che finita.

P.S. Secondo voi chi spala la neve a Milano?
Pensate che l'annuncio per la ricerca di spalatori alla radio lo danno in inglese, arabo, cinese, spagnolo ed infine italiano.
Quelli che mi fanno più impressione sono i neri, spesso vestiti con abiti troppo leggeri, imbacuccati in strati e strati di giacchette e felpe di colori diversi, calzano scarpe da ginnastica inadatte alla neve, abituati -immagino- a climi ben più caldi dei nostri. Sudano, gelano e ansimano per una paga che noi rifiuteremmo (ed in maggioranza rifiutiamo).
Ma se non ci fossero, chi la sente la sciuretta impellicciata che cammina malsicura su trampoli di marca?
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venerdì, dicembre 18, 2009

Calcolare il carico dell'asino

Siamo sotto Natale, dovremmo essere tutti più buoni e, per non farvi annegare nella melassa vi propongo un problemino cattivello.



Un asino ed un mulo, carichi di merci e guidati dai rispettivi padroni, si trovano a camminare affiancati sulla stessa via.
L'asino, per sottolineare il suo maggiore carico che trasporta, ricorda al mulo: «se prendessi 20Kg del tuo carico, porterei il doppio del tuo».
E il mulo, per minimizzare: «ma se io prendessi 20Kg del tuo carico, porteremmo lo stesso peso»

Quando pesano i carichi rispettivamente dell'asino e del mulo?

Soluzione
Vi dirò che questo problema è facilmente risolvibile utilizzando carta e penna ed applicando un po' di regole delle equazioni (le più semplici, in fondo sono due equazioni lineari con due incognite). Mentre risulta estremamente sfidante da risolvere a mente. Per ora nessuno di coloro cui ho proposto il gioco ha trovato la soluzione senza utilizzare carta e penna.

Come da tradizione, la soluzione è nascosta qui sotto, in bianco su bianco, ed è leggibile selezionando il testo.

L'affermazione dell'Asino, una volta espressa in formula diventa:
A+20=2*(M-20)
A=2M-40-20
A=2M-60

L'affermazione del Mulo:
M+20=A-20
A-M=40

Sostituendo A:
2M-60-M=40
M=40+60
M=100

Ovviamente:
A=140


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martedì, dicembre 15, 2009

Il nanetto delle patate


Patamucco

C'è un aneddoto (un nanetto, come lo chiamiamo in famiglia) che spiega come, per ottenere l'apprezzamento o la diffusione di qualcosa, possa essere conveniente proibirlo.

La patata, come molti cibi che associamo alla nostra tradizione culinaria -come pomodori, mais, peperoni-proviene in realtà dalle americhe ed stata importata in Europa alla fine del 1500.
Il fatto è che la patata è nutriente e particolarmente resistente alle intemperie, per cui avrebbe potuto costituire da subito una preziosa risorsa contro le carestie che hai tempi ancora si abbattevano ciclicamente sull'Europa.

Ed, in effetti, durante la terribile guerra dei trent'anni (1618-1648, in cui cattolici e protestanti e varie altre fazioni cristiane si scannarono con ogni mezzo arrivando a ridurre di un quinto la popolazione europea), la coltivazione ed il consumo della patata si diffusero ampiamente in Irlanda, Inghilterra, Olanda e Prussia.

Nello stesso periodo, in Francia, Maria Antonietta la pubblicizzava portandone addirittura i fiori sul corpetto, ma la diffidenza del popolo per il nuovo cibo ne frenò la diffusione.
E così rimase, finché Antoine Augustin Parmentier, farmacista ed agronomo riuscì a dimostrare, nel 1773, l’infondatezza dei pregiudizi ai luminari dell’Accademia di Medicina di Parigi e, per farla conoscere, fece piantare interi campi di patate nelle terre attorno a Parigi, ottenendo dal re che fossero sorvegliati dai soldati durante il giorno. La notte, gli abitanti della zona, incuriositi, rubavano i preziosi tuberi, assicurandone in tal modo la diffusione.
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sabato, dicembre 12, 2009

Influenza A, cioè l'ennesima bufala

«Alla fine dell'inverno la temuta influenza A potrebbe passare come la pandemia più lieve mai registrata: è questa l'ottimista previsione sull'andamento dell'influenza A/H1N1 avanzata da alcuni tra i maggiori esperti di malattie infettive e biostatistica degli Stati Uniti.»
Il Corriere della Sera 8 dicembre 2009
Oggi, nei bagni dell'ufficio mi sono fermato a guardare il distributore del disinfettante per le mani che è stato messo in tutti i bagni quando ha cominciato a montare la fobia dell'influenza suina. C'è scritto:
  • Tenere lontano dalla portata dei bambini
  • In caso di contatto con gli occhi, lavare abbondantemente con acqua e consultare il medico.
Su Internet trovo la scheda tecnica di un prodotto similare, che aggiunge:
  • La dispersione in grosse quantità nell'ambiente acquatico può provocare la morte di pesci ed altri organismi acquatici.
... e tutto questo per la pandemia (probabilmente) meno pericolosa mai registrata.
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giovedì, dicembre 10, 2009

Entant che polsest

Finalmente in Trentino,



è tempo di piccole scoperte.

A Riva del Garda c'è un bar (che si chiama Rivabar, viva l'originalità), dove sabato prendiamo un aperitivo. Il locale è nuovo  nuovo ed arredato in stile lounge. Il bancone, come il resto del locale, è coperto di legno scuro e disegna linee dritte e spigoli vivi che si spezzano in un inserto di vetro opalescente. L'inserto è luminoso e cambia lentamente colore scivolando dal verde al rosso, dal blu al giallo. La barista è una elegante ragazza dall'aria non giovanissima. Una lavagna alle sue spalle annuncia i vini della giornata. Schivando il Gewurtz Traminer e i tradizionali bianchi da aperitivo decido per l'unico rosso rimasto, il Ripasso di Valpolicella DOC di Tommasi, costa 4€ al calice, contro i 3€ degli altri. La moglie si ferma al classico pinot grigio ed i figli per un tè freddo alla pesca.
Il vino è di un bel colore rosso scuro con riflessi rubino. Lo rigiro nel bicchiere senza sapere cosa aspettarmi, perché si chiama "ripasso"? Con un colore così avrebbe potuto essere forte, aspro e tanninico. Ed invece trovo un sapore equilibrato, inaspettatamente morbido e vellutato, forse non profumatissimo ma nell'insieme sorprendentemente piacevole. Ne comprerò una bottiglia alla prima occasione.
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In cucina mio padre ha attaccato un ritaglio di una pubblicità risultato del possente marketing territoriale trentino. Al centro di un'immagine, che rappresenta una vallata dinnanzi alla Paganella, capeggia la scritta:

«Entant che polsest,
spaca en poc de legna»
Il risultato di una filosofia di vita

(traduco per i non trentinofoni: intanto che riposi, spacca un po' di legna)
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Ieri abbiamo mangiato una polenta pallida. La mamma racconta che in Friuli, quando era piccola lei, si mangiava la polenta di farina di mais bianco, mentre il mais rosso veniva dato ai maiali. Grazie al web, scopro che, piano pianino, dopo aver rischiato l'estinzione, il mais bianco perla ricomincia a diffondersi in questi anni grazie anche all'emerito sforzo di associazioni come Slow Food. E pensare che non sapevo neppure che esistesse.
~ Domenica ~
La Tamagotchi si è alzata allegra e offre sorrisi a tutti, e strilla e corre e si affanna a chiamare. Prende una cosa e la porta, poi cambia idea e non te la dà. Dice "tieni!" ma non molla e scappa via dondolando goffamente. Quando la prendo ride e sbuffa. La Principessa la prende in custodia e cerca di convincerla a giocare con i pupazzi.
Il Troll ha un po' di mal di testa. Pazienza, la moglie gli rifila una pastiglia di paracetamolo e lo spedisce a letto.
Oggi, a pranzo, la mamma ci presenta la ciuiga. La CIUIGA di San Lorenzo in Banale è un insaccato composto di carne di maiale e rapa sminuzzata. Buona, si cucina facendola bollire in acqua e poi insaporire nella padella assieme crauti. Si può servire con la polenta o con un buon pane robusto. A quanto pare funziona anche contro il mal di testa dato che il Troll se ne abbuffa con leggera allegria.
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martedì, dicembre 08, 2009

COPENAGHEN: Un'unica voce da 56 giornali

In occasione della conferenza che si apre in Danimarca, i quotidiani di 45 Paesi pubblicano questo editoriale comune e si appellano ai rappresentanti dei 192 stati presenti.

Logo

Oggi 56 giornali di 45 paesi stanno facendo un passo senza precedenti, quello di parlare con una unica voce in un editoriale comune. Lo facciamo perché l'umanità si trova ad affrontare una grave emergenza.

Se non ci uniamo per intraprendere delle azioni decisive, il cambiamento climatico devasterà il nostro pianeta e con esso la nostra prosperità e la nostra sicurezza. I pericoli sono diventati sempre più manifesti nel corso dell'ultima generazione. Ora hanno cominciato a parlare i fatti: 11 degli ultimi 14 anni sono stati i più caldi mai registrati, la calotta artica si sta sciogliendo e i surriscaldati prezzi del petrolio e dei generi alimentari sono solo un assaggio della distruzione che ci attende. Sulle pubblicazioni scientifiche la domanda non è più se la causa sia imputabile agli essere umani, ma quanto è breve il tempo che abbiamo ancora a disposizione per contenere i danni. Nonostante tutto ciò, fino a questo momento la risposta del mondo è stata tiepida e debole.

Il cambiamento climatico è stato prodotto nel corso di secoli, ha conseguenze che dureranno per sempre e le possibiità che abbiamo di controllarlo saranno determinate dai prossimi 14 giorni. Ci appelliamo ai rappresentanti del 192 paesi riuniti a Copenhagen affinché non esitino, non si lascino prendere la mano dalle controversie e non si accusino reciprocamente, ma che ricavino delle opportunità dal più grande fallimento della moderna politica. Si dovrebbe evitare una lotta tra il mondo ricco e quello povero o tra Occidente e Oriente. Il cambiamento climatico colpisce tutti e deve essere risolto da tutti.

L'aspetto scientifico è complesso ma i fatti sono chiari. Il mondo deve prendere delle misure per contenere entro 2°C gli incrementi della temperatura, un obiettivo che richiederà che il picco globale delle emissioni e l'inizio del loro successivo decremento avvenga entro i prossimi 5-10 anni. Un innalzamento superiore di circa 3-4°C - la stima più bassa dell'incremento della temperatura qualora non si agisca - inaridirà i continenti e trasformerà le terre agricole in deserti. La metà di tutte le specie potrebbe estinguersi, un numero senza precedenti di persone sarebbe costretto all'esodo, interi paesi sarebbero innondati dal mare.

Sono in pochi a ritenere che Copenhagen possa ancora produrre un trattato in una sua versione finale - verso un tale trattato si è potuto cominciare a fare reali progressi solo con l'arrivo del presidente Obama alla Casa Bianca e la fine di anni di ostruzionismo degli Stati Uniti. Il mondo si trova ancora oggi alla mercé della politica interna statunitense, dato che il presidente non può impegnarsi pienamente sulle azioni necessarie finché non lo avrà fatto il Congresso degli Stati Uniti.

A Copenhagen però i rappresentanti politici possono e devono trovare un consenso sugli elementi essenziali di un accordo giusto ed efficace nonché - e questo è un punto cruciale - su un rigido calendario per trasformare questo accordo in un trattato. La prossima conferenza delle Nazioni Unite sul clima prevista per il giugno prossimo a Bonn dovrebbe essere considerata la data ultima o, come ha detto un negoziatore, "possiamo concederci un tempo supplementare ma non di rigiocare la partita".

Al centro dell'accordo ci deve essere una intesa tra il mondo ricco e quello in via di sviluppo che preveda, tra le altre cose, come sarà distribuito il costo della lotta al cambiamento climatico - e come si distribuirà una risorsa che solo recentemente è diventata preziosa: le migliaia di miliardi circa di tonnellate di anidride carbonica che rilasceremo prima che la colonnina del mercurio abbia toccato livelli pericolosi.

Alle nazioni ricche piace ricordare la verità aritmetica secondo la quale non ci può essere una soluzione finché i giganti del mondo in via di sviluppo, quale la Cina, non adotteranno misure più radicali di quelle messe in atto finora. Il mondo ricco, però, è responsabile per la maggior parte dell'anidride carbonica che si è accumulata nell'atmosfera - tre quarti di tutta l'anidride carbonica rilasciata dal 1850. Il mondo ricco deve quindi ora indicare la strada e ogni singolo paese in via di sviluppo deve impegnarsi a ridurre le emissioni in modo tale da abbassare entro un decennio il proprio contributo di gas serra a livelli sostanzialmente inferiori a quelli del 1990.

I paesi in via di sviluppo vorranno ricordare che loro hanno contribuito alle cause del problema solo in misura minore e che le regioni più povere del mondo saranno quelle più colpite. Tuttavia, questi paesi contribuiranno sempre di più al riscaldamento e devono quindi impegnarsi in prima persona in una azione significativa e quantificabile. Sebbene finora sia l'azione dei paesi avanzati sia quella dei paesi in via sviluppo non abbia raggiunto il livello auspicato da taluni, il recente impegno su nuovi target per le emissioni da parte dei due paesi che più inquinano al mondo, Stati Uniti e Cina, sono dei passi importanti nella direzione giusta.

La giustizia sociale esige che il mondo industrializzato si dimostri generoso nel fornire risorse per aiutare i paesi più poveri a adattarsi al cambiamento climatico e a adottare tecnologie pulite che consentano loro di crescere economicamente senza che ciò comporti un aumento delle emissioni. Anche l'architettura di un futuro trattato dovrà essere stabilita in maniera ferma, prevedendo un monitoraggio multilaterale rigoroso, premi equi per la protezione delle foreste e una valutazione credibile delle "emissioni esportate", in modo tale che il costo possa essere suddiviso in maniera equa tra chi produce prodotti inquinanti e chi li consuma. L'equità richiede inoltre che la dimensione del peso che ciascun paese sviluppato si accollerà tenga in considerazione la sua capacità di reggerlo; per esempio, i nuovi membri della Ue sono spesso molto più poveri della "vecchia Europa" e non dovrebbero soffrire di più dei loro partner più ricchi.
La trasformazione avrà un costo ingente che sarà in ogni caso molto inferiore al conto pagato per salvare la finanza globale e molto meno costoso delle conseguenze di non fare alcunché.

Molti di noi, nel mondo sviluppato in particolare, dovranno cambiare il proprio stile di vita. L'era dei voli che costano meno del tragitto in taxi all'aeroporto sta volgendo alla fine. Dovremo acquistare, mangiare e viaggiare in maniera più intelligente. Dovremo pagare di più per l'energia e usarne meno.

La prospettiva del passaggio a una società a basso impatto di anidride carbonica contiene tuttavia più opportunità che sacrifici. Alcuni paesi hanno già verificato che abbracciare la trasformazione può portare crescita, posti di lavoro e una migliore qualità della vita.

Anche il flusso dei capitali ci dice che l'anno scorso, per la prima volta, gli investimenti destinati alle varie forme di energia rinnovabile hanno superato quelli impiegati per la produzione di elettricità da combustibili fossili.

Liberarci della assuefazione all'anidride carbonica in pochi decenni che si riveleranno brevi, facendo fronte a una sfida senza uguali nella nostra storia, richiederà uno sforzo straordinario all'ingegneria e all'innovazione. Ma se mandare l'uomo sulla luna o scoprire i segreti dell'atomo sono state imprese nate dal conflitto e dalla competizione, la corsa contro l'anidride carbonica che sta per iniziare dovrà essere improntata a uno sforzo collaborativo che miri alla salvezza collettiva.

Per avere la meglio sul cambiamento climatico occorrerà che l'ottimismo trionfi sul pessimismo, che una visione di ampia portata trionfi sulla miopia, su di ciò che Abraham Lincoln chiamò "i migliori angeli della nostra natura".

È con questo spirito che 56 giornali di tutto il mondo si sono uniti per questo editoriale. Se noi che proveniamo da ambiti nazionali e politici così diversi possiamo concordare su ciò che occorre fare, anche i nostri leader possono farlo.

I rappresentanti politici che si riuniranno a Copenhagen hanno la possibiità di decidere quale sarà il giudizio della storia su questa generazione: una che ha capito la minaccia e che ne è stata all'altezza con le sue azioni oppure una talmente stupida da aver visto arrivare la catastrofe e di non avere fatto alcunché per impedirla. Vi imploriamo di fare la scelta giusta.

(Traduzione di Guiomar Parada)

(La Repubblica, 7 dicembre 2009)
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lunedì, dicembre 07, 2009

Parontri e paroscopiche, ovvero le parole periscopiche


Qualche giorno fa stavo cercando un nuovo gioco per trastullare i figli nelle giornate di pioggia e mi sono ricordato delle parole periscopiche proposte, credo, da Stefano Benni in Il Bar Sotto Il Mare (o Terra? mah). Beh, insomma, mi perdoni il buon Benni e, se nessuno se ne attribuisce il merito, mi sacrificherò assumendone la colpa.

In sostanza, si prendono due o più parole, di solito un sostantivo ed uno o più aggettivi, e si selezionano le lettere iniziali e finali in modo da ottenere una nuova inesistente parola. La parola può essere semplicemente insensata o ricordare un concetto oppure essere buffa, e queste di solito sono le migliori.

Per migliorare il suono (o semplicemente ottenere un effetto buffo) è consentito raddoppiare le consonanti in prossimità della cesura.

Per chi cerca il profitto ad ogni costo, le parole periscopiche riuscite meglio possono diventare slogan pubblicitari, nomi di prodotti o semplicemente geniali password facili da ricordare pur essendo introvabili nei dizionari.

Ecco cosa ha prodotto la famiglia dei girasoli:
  1. parontri = di parole scontri
  2. paroscopiche = parole periscopiche
  3. argustizia = arguta giustizia
  4. influina = influenza suina (riuscireste a temere una pandemia di ... influina?)
  5. lattirra = lattina di birra
  6. autecchia = automobile vecchia (sigh)
  7. cavolla = cavalluccio a molla
  8. bambilita = bambina pulita
  9. brossiccia = broccoli e salsiccia
  10. storlena = storta altalena
  11. fedale = fede nuziale
  12. baligente = bambina intelligente
  13. adolquiondo = adolescente inquieto ed un po' scrondo
  14. bambonda = bambina bionda
  15. maremo = marito scemo (sigh)
  16. moronza = moglie ... (mi tocca precisare che si tratta di autodefinizione)
  17. caffaldo = caffè caldo
Sono riuscito a continuare il gioco in ufficio:
  1. computile = computer portatile
  2. scrivarrone = scrivania marrone
  3. scrivolgente = scrivania avvolgente
  4. caffacchilato = caffè macchiato con cioccolato (dalla macchinetta del caffè)
  5. camollo = caco mollo (il frutto, in mensa)
Scrivetemi le vostre produzioni!
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giovedì, dicembre 03, 2009

I casi della vita, la poesia e gli impegni a cambiare ...



La Tamagorchi, accanto a me, chiacchiera o canta cose incomprensibili -è entrata da poco nell'età della lallazione-, la Principessa ed il Troll in cucina fanno merenda.
La Principessa rosicchia pane con le olive, il Troll mangia yogurt bianco con abbondanti cucchiaini di marmellata, Lifegate alla radio suona musica blues.
Cerco di parlare di compiti con il Troll ma la Tamagotchi sbava, la pulisco con una velina, in dieci secondi cambia umore tre volte, passa dal fastidio del non essere considerata, alla protesta -non le piace venir pulita-, alla felicità di essere guardata e consolata da papà. La moglie, che è andata a portare una cosa allo zio- dovrebbe arrivare a minuti. Riprendo il discorso dei compiti e suona il telefono.
Mentre rispondo alla moglie la Principessa si arrabbia perché non riesce ad arrivare al barattolo della marmellata (per metterla sul pane con le olive?). Calmo la Principessa. Le avvicino il barattolo. Mi cade il telefono e cade la conversazione. Riprendo il discorso dei compiti e risuona il telefono (troppo semplice lasciarla cadere lì, no?).
Ogni tanto penso che non ho mai sopportato le situazioni in cui non è possibile esprimere una idea ed a volte neanche una frase per intero senza essere interrotti.

Mi sfilo dalla cucina per posare il telefono. Mi fermo. Rallento il cuore. Ascolto il mio respiro ed i miei battiti. Scivolo via un attimo con il blues.

Prendo dalla libreria della sala un libretto a caso e leggo:
Anni di giovinezza, vita di voluttà ...
come ne scorgo chiaramente il senso.

Quanti rimorsi inutili, superflui ...

Ma il senso mi sfuggiva, allora.

Nella mia giovinezza scioperata
si formavano intenti di poesia,
si profilava l'ambito dell'arte.

Perciò così precari i miei rimorsi!
E gl'impegni di vincermi e mutare,
che duravano, al più, due settimane.

[Kavafis]
Me lo immagino, Kavafis, nella sua vecchiezza contemplativa di poeta; e ricordo me giovane, e i precari impegni a mutare «che duravano, al più, due settimane».
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martedì, dicembre 01, 2009

Quei bambini di sei anni ancora nel passeggino. Colpa della fretta?



Riprendo qui una discussione nata sul sito Vivere con Lentezza e nata dalla segnalazione di un articolo sul corrierone nazionale che titolava:
Quei bambini di sei anni ancora nel passeggino
di Annachiara Sacchi
Corriere della Sera 29 settembre 2009

Con tanto di sottotitolo: Sempre più mamme lo usano fino a tardi. Il pediatra: un errore.

Sicuramente la fretta è uno dei motivi per cui si tengono i bambini nel passeggino fino quasi alle elementari, ma è anche vero che vedo in moltissime mamme un desiderio di ipercontrollo assoluto misto ad una forma di pigrizia che non consente di vedere il bambino per quello che è, cioè una (piccola) persona con i suoi tempi e le sue necessità.
Il ragionamento che molte mamme fanno è «se lo tengo per  mano si lamenta (e vorrei ben vedere, dico io) se lo lascio libero devo accettare che, nella misura in cui l'età glielo consente, decida  autonomamente come percorrere i prossimi 3 metri di strada e, se sbaglia, riportarlo nella direzione giusta. In passeggino è legato e non mi devo preoccupare per lui mentre rispondo al cellulare o penso alla mia to-do list del giorno».
Ed il problema continua fino alla quinta elementare quando bamboni alti come la mamma vengono accompagnati a scuola dalla genitrice che cerca di entrare fin quasi nel portone della scuola, lascia la macchina con le 4 frecce, si mette in spalla la cartella e accompagna in figliolo fino alla porta.
Al contrario, un bambino alle elementari dovrebbe essere in grado di attraversare quantomeno il suo quartiere a piedi e, secondo i medici, compiere almeno 10.000 passi al giorno.

P.S. La foto non c'entra nulla -perché le mamme di cui si parla nell'articolo hanno di solito solamente un figlio, di cui spesso si lamentano «sai, non sta mai fermo, è veramente impegnativo»- ma era troppo bella.
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Mi sento fortunato