giovedì, settembre 23, 2010

Una lunga notte


Ore 23.00 silenzio. Tutti dormono. Zappo un po' sulla televisione. Annoiato mi accorgo del tastino rosso in alto a destra sul telecomando e lo premo infoddisfatto.
Ore 23.30 apro il giornale ma la palpebra si abbassa prima che passi il tempo necessario a trovare un articolo interessante.
Ore 23.45 silenzio. Un urlo scuote i muri. La moglie, silenziosa come un furetto sonnanbulo, esce dal letto, accende la luce del bagno e lascia la porta socchiusa in modo che una luce fioca illumini il percorso, attraversa il corridoio e si immerge nel buio della camera delle bambine.
Torna dopo 10 minuti, blatera qualcosa, si infila sotto le coperte e, come non si fosse mai alzata, si abbandona nelle braccia di Orfeo.
Mi stropiccio gli occhi, guardo la sveglia, sono le ore 0.07, sono passati 20 minuti. Provo a girarmi ma lo strillo raggiunge un altro staro della mia coscienza. Hmm, notte interessante. Tocca a me: mi sfilo faticosamente dalle lenzuola e raggiungo a tentoni il bagno. Accendo la luce, socchiudo la porta e mi trascino fino al lettino della Tamagotchi. Parlo lentamente a voce bassa con tono consolatorio (per consolare cosa, non si sà) appoggio la mano sulla sua pancia e la cullo leggermente. Smette di piangere. Quando mi alzo mi chiede l'acqua. Riempio il biberon e glie lo do.

Ore 2.12 ancora. Mi rigiro e fingo di non sentire. Si alza la moglie e, dopo qualche minuto, torna con la bambina.
Ore 3.21 sposto un tallone dalla mia orbita oculare e quardo la sveglia con sospetto, come se mentisse. Mi alzo e stancamente mi trascino fino al PC.
Leggo la mail ma mi stufo subito. Scorro un po' di news, sfoglio qualche blog. Inciampo in un brano su Youtube tratto da un concerto di Ligabue. Ore 4.09 torno a letto.

Ore 5.32 mi sveglio sul bordo del letto. Un oggetto di gomma mi preme nel costato.  Se mi muovo di un solo millimetro cado. Con prudenza estraggo il ciuccio da sotto le costole e lo caccio tra quelle che credo siano le labbra della Tamagothi. La moglie si lamenta farfugliando qualcosa di incomprensibile. Si toglie il ciuccio e si lamenta di nuovo, questa volta in modo comprensibile mi spiega che Principessa si sentiva sola e agitata e, dunque, si è infilata anche lei nel lettone.
Grugnisco. Sposto il piedino che preme contro il mio pube. Cerco di tirare le 7 senza franare sul parquet.

Certo non era quello che immaginavo quando pensavo a 3 donne nel mio letto.


... e non si può restare soli, certe notti qui, che chi s'accontenta gode, così così.
~

venerdì, settembre 17, 2010

Una suora incinta occupa la mente in una giornata di pioggia


Oggi è venerdì 17 settembre. Non male, il Troll è nato venerdì 17 alle ore 17 (di ottobre) e, per me, è stato un giorno fortunato.
Pioviggina. Per la moglie diluvia, prendo lo stesso la bicicletta.
Lascio la Principessa di fronte al cancello della scuola e porto la Tamagotchi all'asilo. Cambio calzetti, saluti di rito alle educatrici, bacio.
Caffè al bar come tutte le mattine, fuori dalla porta mi fermo a srotolare le cuffie, accendo la radio sul cellulare, indosso il casco. Piove. Pedalo pianino, le gocce sui fermano sui pantaloni di lino e, grazie al caldo e all'aria che sbatte su di me, evaporano prima di bagnare la gamba. E' un giorno fortunato.
A metà strada, passo vicino ad una cava divenuta negli anni un poetico laghetto. Sono bagnato di sudore, sotto la giacca che non posso aprire, molto più che di pioggia.

Mi colpisce, alla radio, la news del giorno: la magistratura Britannica sospende un cartellone pubblicitario di una marca di gelati. Il cartellone, rappresenta una suora incinta che gusta un gelato, presumibilmente assalita dalle voglie. La motivazione è «offensiva della religione cattolica».

Siamo nel 2010. Abbiamo, probabilmente, passato i 10 migliori anni di sempre dell'umanità (minor numero di morti in guerra, minor numero di morti per fame, minor numero di malati, maggior reddito, migliore istruzione, e così via).
Nei paesi occidentali le leggi per la proiezione della maternità sono molto avanzate; ed è giusto così, un figlio è un dono per la famiglia, per la società e per l'umanità che si perpetua attraverso di lui.
In nessun paese moderno sarebbe accettato un licenziamento per maternità.
Ogni vita è un miracolo. Oltre ad essere un diritto primario dell'uomo, nulla è immorale oppure osceno nella maternità in sé.

Mentre medito la pioggia aumenta, alzo il bavero e rallento ancora un po'. Il cielo è cosparso di nuvolette grigio chiaro, non sembra minaccioso.
Perché accettiamo tranquillamente che l'ente morale per eccellenza si offenda alla sola idea che un suo dipendente abbia un figlio?

Un cartellone sulla strada, relitto dell'estate passata, pubblicizza una popolare merendina, con tanto di mamma bella, magra e sorridente.

Eppure, qualche motivo di proibire la pubblicità del gelato ci sarebbe, dato che la peggiore epidemia che ha colpito i paesi occidentali negli ultimi vent'anni non è stata l'influenza aviaria, né il prione della mucca pazza o la suina, ma bensì il sovrappeso. La pinguedine, l'obesità, uccidono in USA ed in Europa più delle guerre, degli incidenti sul lavoro e delle infezioni.

Considerando che, in fondo, la trovata pubblicitaria rappresenta la solita modella ultramagra (pur con un cuscino sotto il vestito), che si gusta un santo gelato industriale composto per la maggior parte di grassi di varia provenienza, zuccheri, aromi e coloranti, certamente non mancherebbero le ragioni per protestare. No?
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domenica, settembre 12, 2010

The Road Not Taken

L'amico Rodolfo mi ha scritto una lettera alla fine di luglio. In questa raccontava del viaggio che stava per intraprendere in Alaska e delle difficoltà nel cercare di tracciare un percorso che non sia eccessivamente sfiancante.
Per spiegare le sue perplessità citava questa poesia.


The Road Not Taken

Robert Frost (1874-1963)

Two roads diverged in a yellow wood,
And sorry I could not travel both
And be one traveler, long I stood
And looked down one as far as I could
To where it bent in the undergrowth;

Then took the other, as just as fair
And having perhaps the better claim,
Because it was grassy and wanted wear;
Though as for that, the passing there
Had worn them really about the same,

And both that morning equally lay
In leaves no step had trodden black
Oh, I kept the first for another day!
Yet knowing how way leads on to way,
I doubted if I should ever come back.

I shall be telling this with a sigh
Somewhere ages and ages hence:
Two roads diverged in a wood, and I -
I took the one less traveled by,
And that has made all the difference.

La Strada Non Presa

Robert Frost (1874-1963)

Due strade divergevano in un giallo bosco
ed ero dispiaciuto di non poterle percorre entrambe
ed essendo uno solo, mi fermai a lungo
e ne guardai una lontano quanto potevo
fin dove svoltava nel sottobosco.

Poi presi l’altra, altrettanto giusta,
e aveva forse un miglior richiamo,
perché era erbosa e voleva esser percorsa;
sebbene, per quello, il passaggio là
le avesse in effetti segnate più o meno lo stesso,

Ed ambedue quella mattina allo stesso modo
sulle foglie nessuna nera impronta mostrassero.
Oh! La prima lasciavo a un altro giorno!
Sapendo bene come strada porti a strada,
dubitavo che sarei mai tornato indietro.

Dovrò raccontar questo con un sospiro
da qualche parte fra tanto tanto tempo:
divergevano due strade in un bosco, ed io-
io presi la meno battuta,
e da questo ogni differenza è venuta.

Già, ad un bivio ho scelto la strada meno battuta «e da questo ogni differenza è venuta.».
E questa scelta è definitiva, perché ogni strada porta ad un'altra strada e, di norma, non si torna indietro.

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giovedì, settembre 09, 2010

Bisogno di caffè



A volte faccio cose strane. Sarà l'estate o la stanchezza. O il semplice fatto che i neuroni si consumano e non vengono rimpiazzati.

Questa mattina mi sono proposto per offrire il caffè ad una collega. Si è rifiutata, ma me ne sono dimenticato ed ho preso la sua chiavetta come fosse la mia. L'ho caricata di monetine e l'ho intascata.

Quando mi ha chiesto la restituzione della chiavetta sono letteralmente caduto dalle nuvole.
Dopo la dovuta restituzione, ho inserito la mia chiavetta ... e non capivo perché ci fosse così poco credito.

Avevo certo bisogno di un possente caffè.
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sabato, settembre 04, 2010

il Papilio Macaone

Una decina di giorni fa ero a casa da solo. La famiglia in vacanza al lago ed io a tornare tutte le sere dal lavoro in una casa vuota, tranquilla e vagamente triste.

Già, la solita routine: correre a casa, spalancare porte e finestre, accendere la musica. Controllare il nostro piccolissimo orto, innaffiare, togliere le erbacce in eccesso e raccogliere i frutti della terra da cucinare e consumare in solitudine la sera stessa.

La cosa fastidiosa è che cucinare, apparecchiare, pulire la cucina e lavare i piatti impegnano quasi la stessa quantità di tempo per uno come per più persone, ma con molta meno soddisfazione nel primo caso.

Raccolgo i succosi (ma poco pigmentati) pomodori, uno splendido peperoncino dinamitardo, un po' di radicchio e ... e vedo 5 mostruosi bruchi sui miei finocchi. Il mio senso paterno (tendo ad estendere la mia paternità anche a quel poco che coltivo) lampeggia di rosso e giallo per indicare la massima allerta.

Mi domando quale sia il modo meno cruento per sopprimerli e li osservo mente, attivamente, si ingozzano delle foglie dei miei 5 finocchi.
Quanti saranno? Noto con gioia che non se ne vedono altri. Niente tra le insalate, niente sotto i friggitelli e niente sulle grasse foglie delle coste.


A guardarli bene, questi bruchi sono proprio belli. Di un verde cristallino, rigato zebrato di nero e decorato con due righe di puntini gialli e arancioni che delimitano la schiena. Belli proprio.

Mi intenerisco e, tenacemente deciso a salvare i finocchi, raccolgo da ciascuna pianta il rametto cui è avvinghiato il mostro, e li ficco tutti assieme in un barattolo di vetro.
Mi trovo ad osservarli per altri 10 minuti. Finché, finalmente risoluto, decido di portarli in un giardino pubblico li vicino ed abbandonarli sotto un cespuglio qualsiasi (condannandoli, scoprirò poi, a morte certa).

In giorno dopo racconto l'accadimento ad un erudito collega che, in tutta risposta, mi manda un link alla pagina di wikipedia dedicata al Papilio Machaon ed una serie di altri link.

Il Papilio Macaone, apprendo, è una delle più belle farfalle che si possono trovare in Italia. Il bruco si nutre solo di ombrellifere ed in particolare di carote e finocchio.

Il bruco, inoltre, non abbandona la pianta ospite (che non distrugge) su cui si aggrappa per diventare crisalide ed, infine, uscirne farfalla.

Ed io che li ho abbandonati in un prato dove non troveranno neppure l'ombra di una carota.

Appena tornato a casa, riprendo il barattolone di vetro e vado a cercare i bruchi. Mi ricordo che uno l'avevo lasciato appena fuori casa e, contento, lo riporto a casa.

Setaccio Internet finché non trovo (sul sito di una scuola) le istruzioni per allevare il Papilio.
In pratica metto un bel rametto di finocchio nel barattolo in cui è chiuso il bruco e lo chiudo un un foglio di plastica abbondantemente bucherellato (tanto non fugge dalla sua pianta ospite).

Quando, quattro giorni dopo torna tutta la truppa, mostro e spiego, raccogliendo entusiasmo dai bambini come dalla moglie.

La crisalide
Due giorni dopo il bruco si aggancia con due filamenti e diviene immobile. Tre giorni dopo è una perfetta crisalide verde opaco.



La farfalla
E questa sera ... eccolo!
Domani la libero e spero che lasci un po' di prole nel mio orto.












p.s. Le due immagini di bruco e crisalide sono prese da Internet mentre tutte le altre sono mie.
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Mi sento fortunato