domenica, dicembre 28, 2008

Alle fonti della paura


Sull'Internazionale del 24 ottobre 2008 c'è un articolo di divulgazione scientifica tratto da NEW SCIENTIST (una rivista inglese) firmato da MICHAEL BOND. L'ho trovato così interessante da provare a riportarvene qui un brevissimo riassunto.

In aeroporto, ai viaggiatori viene proposta un'assicurazione di viaggio. La scelta è tra un'assicurazione che copre da qualsiasi incidente ed una, di uguale costo, specifica per gli atti terroristici. Il foglietto illustrativo riporta per entrambi gli stessi massimali ma la prima è sicuramente il prodotto migliore perché copre tanto gli atti terroristici che qualsiasi altro -quale il ben più probabile smarrimento dei bagagli- mentre la seconda polizza copre solo gli atti terroristici.

Si tratta di una simulazione a cui gli scienziati hanno sottoposto un campione della popolazione scoprendo che la maggioranza delle persone avrebbe sottoscritto la prima, contro il proprio interesse.

Chi ha detto che l'homo economicus sceglie la soluzione più conveniente?

Ma questa è una simulazione. In realtà -secondo Gerard Gigerenzer dell'Istituto Max Planck per lo sviluppo umano di Berlino- l'anno successivo all'attentato alle torri gemelle, molti americani hanno preferito la macchina all'aereo per gli spostamenti interni causando 1.600 morti in più in strada.

1.600 morti in strada più dell'anno prima sono sei volte più delle persone che sono morte perché erano sugli aerei dirottati.

Quindi ci sono almeno 1.300 persone che avrebbero evitato un destino orribile se avessero preso una scelta razionale invece che una emotiva. Già, perché -mi permetto di aggiungere- morire schiacciati in una scatoletta di metallo è orribile tanto quanto morire nello schianto di un aeroplano, o no?

L'articolo continua citando altri casi in cui la nostra “mente emotiva” soverchia quella “razionale” portandoci a scelte errate. In pratica, spiega l'articolo, la nostra capacità di giudizio riguardo ai pericoli è adatta ad una vita primitiva, in cui c'erano pochissime informazioni -in pratica solo quelle provenienti direttamente dai cinque sensi- e la necessità di agire in maniera molto tempestiva di fronte da un pericolo quale l'assalto di una bestia ferocie.

In pratica -secondo Nassim Nicholas Taleb, uno dei direttori del Decisional research laboratory della London business school- “Non siamo abbastanza razionali per essere esposti alla stampa”.

Dopo aver intervistato 150 persone riguardo agli attentati di Londra del 7 luglio 2005, i ricercatori dell'università di Portsmounth hanno scoperto che chi aveva letto o sentito più notizie sull'argomento aveva una probabilità più alta di creare falsi ricordi. In particolare, il 40% delle persone era convinto di aver visto le riprese (inesistenti) dell'esplosione dell'autobus a Tavistock square.

Secondo il governo di Londra tra il 2006 ed il 2007, il 65% degli inglesi crede che nel paese la criminalità sia aumentata. In realtà dal 1995 al 2005 la percentuale dei reati è diminuita del 42%.

Lo stesso succede anche negli USA dove da uno studio condotto del 2001 dalla Building blocks for youth, è emerso che tra il 1990 ed il 1998 il numero dei reati è diminuito del 20%, mentre lo spazio che la TV dedicava al crimine era aumentato dell'83% ed, in particolare, nello stesso periodo, lo spazio dedicato in televisione agli omicidi era aumentato del 473%, mentre il numero degli omicidi era -nella realtà- diminuito del 33%.

Ed ecco che nasce il mito: la televisione parla costantemente di crimini, le persone commentano tra di loro le notizie e questo determina un graduale formarsi della convinzione che la criminalità ed i reati, in particolare i più efferati e violenti -i più succosi per la TV- siano in drammatico aumento.

Ma la cosa più grave non è la distorsione del voto o il continuo formarsi di opinioni errate sul mondo; quanto l'effetto sulla vita delle persone, che per paura si riducono a vivere chiuse in casa -case, ovviamente, sempre più dotate di solide inferriate ed impianti di allarme- o in scatolette di metallo con le ruote e riservano lo stesso stato di perenne prigionia autoinflitta ai loro figli, che finiranno per ritenerlo normale ed inevitabile.

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